Religione, in cammino verso Gerusalemme

di Il capocordata

Con questo brano (Lc. 9, 51-62) si apre la quarta parte del Vangelo di Luca che potremmo intitolare: in cammino verso Gerusalemme, verso la passione di Gesù: è il proeludium mortis (la preparazione alla morte sulla croce!). Il tempo dato dal Padre al Figlio per realizzare la sua opera in terra volge alla fine, si avvicina il giorno in cui egli deve essere tolto da questo mondo. Il ministero terrestre di Gesù troverà il suo compimento nella “elevazione o assunzione”(v. 51) al cielo: il termine indica insieme il suo essere “levato” di mezzo ed “elevato” fino a Dio. Se l’uomo compie il sommo male, togliendo di mezzo il Figlio dell’uomo, Dio ne fa il sommo bene, innalzando a sé il Figlio.  

Viene sottolineato che la determinazione di Gesù di recarsi a Gerusalemme fu una decisione grave: Gesù è cosciente della necessità per lui di soffrire e di morire nella città santa e già due volte ha annunciato la sua passione. Ma il Vangelo nota a questo punto che Gesù non si muove alla leggera sulla strada che conduce alla morte: Gesù partì risolutamente, cioè coraggiosamente. E’ l’atteggiamento del profeta e del servo che percorre la via dell’obbedienza e si indurisce in essa. Questo indurimento di Gesù è l’esatto opposto della nostra durezza di cuore.

Cattiva accoglienza in un villaggio samaritano (vv. 51-56)

Gesù manda avanti a sé dei messaggeri verso un villaggio di samaritani: una misura resa necessaria per la turba che accompagnava Gesù. I discepoli sono inviati davanti al suo volto per preparargli l’accoglienza. E’ il fine di ogni apostolato: “colui che deve venire”, viene ovunque si accoglie la Parola che lo annuncia e ci pone nel suo stesso cammino. Oltre ai dodici discepoli e ad alcune donne, certamente presenti, seguiva Gesù un forte contingente di simpatizzanti, tra cui Gesù recluterà i settantadue che manderà in missione. Gli apostoli entrano in un villaggio della Samaria, che rappresenta l’infedeltà nel cuore di Israele.

Il rifiuto da parte del Villaggio samaritano di dare asilo ad una turba di galilei in viaggio verso Gerusalemme è conforme a quanto si sa sul disaccordo esistente tra giudei e samaritani. Gesù non è accolto perché ha il volto del messia umiliato: è povero e piccolo perché in cammino dalla Samaria a Gerusalemme per farsi carico del male dei fratelli. Il peccato comune a tutti è non accogliere la piccolezza di Dio in Gesù, sua vera grandezza. Giacomo e Giovanni vorrebbero che un fuoco dal cielo distrugga questo villaggio inospitale con tutti i suoi abitanti. Si sentono associati a Cristo, ma ignorano che l’unico suo potere è l’impotenza di uno che si consegna per amore. Egli non porta il fuoco che brucia i nemici, ma l’amore che perdona. Lo zelo senza discernimento, principio di tutti i roghi di tutti i tempi, è contrario allo Spirito di Cristo, e distrugge la sua opera. Quanto male, forse ogni male, è fatto a fin di bene!

E Gesù “voltatosi, li sgridò” (v. 55). Gesù si volge verso di noi che non siamo ancora rivolti verso di lui. Lui infatti è la luce che scaccia la tenebra, la misericordia che vince il male. Ci rivela un Dio di compassione e di tenerezza, ignoto sia ai vicini che ai lontani. Il volto di Gesù mite e umile, impotenza di un Dio che ama, è la sua potenza che salva, anche se a lunga scadenza. 

Il rifiuto non blocca la missione di Gesù, buon Samaritano. La evidenzia come misericordia e la diffonde ovunque, in attesa che sia accolta da tutti. Perché “la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo”. Ora Gesù si dedica a illuminare i discepoli mostrando il suo volto e il suo spirito di Figlio.

“Un tale gli disse: ti seguirò ovunque ti allontani”(v. 57). E’ una persona indeterminata, che rappresenta chiunque vuole seguirlo. Desidera essere discepolo, ma ne accetterà le condizioni? Ha capito il senso della vita: seguire Gesù, il Signore. Questo tale sa che Gesù va lontano. E’ il lungo cammino dalla schiavitù alla libertà. E’ il Figlio dell’uomo che si consegna e si dona, diverso da ogni Adamo che prende e rapina: si dona a chi se ne impadronisce e si consegna a chi lo tradisce.  “Non ha dove posare il capo” (v. 58): all’inizio, nato in una stalla, non essendoci per lui altro posto, fu adagiato sul legno di una mangiatoia di bestie. Al termine finirà in pasto ai peccatori sul legno della croce, dove reclinerà il capo. Gesù vive in povertà assoluta: non è solo la condizione del pellegrino in cammino, è anche il mezzo con cui realizza la propria consegna al Padre e agli uomini.

“Disse a un altro: seguimi! Permettimi prima di seppellire mio padre” (v. 59). Non chiede una deroga, ma solo una proroga di tempo. Prima di seguire il Signore desidera compiere i suoi doveri, rispettare i suoi affetti. Questa priorità di tempo in realtà nasconde una priorità di intenti. L’uomo infatti vive nel tempo e fa “prima” ciò che più gli sta a cuore. Ogni affetto, per quanto sublime, è secondario e derivato, figura del rapporto con Dio. Anche Gesù, pur sottomesso a Giuseppe e Maria che angosciati lo cercano, antepone loro la necessità di occuparsi delle cose del Padre. La scelta è difficile e dura. La nostra volontà, a causa del peccato, non è indifferente e non ha la priorità giusta. Vorremmo che Dio seguisse la nostra.

“Ti seguirò, ma prima permettimi di congedarmi da quelli di casa mia”(v. 61). Questa terza figura di discepolo assomma le difficoltà dei primi due: è lui che si propone ed è lui che pone la priorità. La risposta di Gesù vuol farci comprendere che non bisogna guardare ciò che è dietro, il proprio io e la sua storia, ma ciò che sta davanti, Dio e la sua parola. Non devo cercare garanzie in me, non importa chi sono io e qual è il mio passato. L’unica garanzia è da cercare nell’obbedienza a lui e al suo futuro.                      

Bibliografia consultata: Javet, 1970; Fausti, 2011.

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