Sport e coronavirus, il calcio è ostaggio di interessi incrociati (e di Lotito)

La Lega Serie A contro Spadafora e il Dpcm che hanno autorizzato solo allenamenti individuali. La Lazio, as usual, grida al complotto, ma la priorità è la salute

caos calcio

Stadio di calcio

Nell’ambito del binomio sport e coronavirus, il calcio italiano è su tutte le furie. O meglio, lo è la sua componente principale, quella Lega Serie A che muove i maggiori interessi (anche) economici. Oggetto dell’ira funesta è il Governo, e in specie il Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora: con cui lo scontro si è ormai fatto incandescente.

Il campionato ripartirà?

Illustrando l’ultimo Dpcm, il bi-Premier Giuseppe Conte ha fatto riferimento al 18 maggio come data per la ripresa degli allenamenti per gli sport di squadra. Nessun accenno, però, alla possibilità di tornare ad allenarsi in gruppo. E, soprattutto, nessuna indicazione sull’eventuale ripartenza dei campionati, anzi del campionato per eccellenza – quello di calcio.

In effetti, «rugby, basket e volley hanno già chiuso la stagione» ha ricordato pochi giorni fa il presidente del CONI Giovanni Malagò. E non si tratta affatto dei figli di un dio minore come si vorrebbe far credere, né le loro decisioni sono state meno sofferte.

Il football, però, sembra temere più di tutti gli eventuali ricorsi, che francamente si fa fatica a capire su quali basi potrebbero essere accolti. Il prolungato stop e la possibile chiusura sono e sarebbero infatti determinati dall’emergenza coronavirus, non certo da un capriccio governativo.

L’irritazione dei club

Qualora però il campionato dovesse riprendere, il motivo primario del contendere diventa il tempo. Secondo la Figc, infatti, se si dovesse tornare in campo oltre 14 giugno diventerebbe impossibile concludere la stagione entro il termine tassativo del 3 agosto.

Ecco il motivo dell’irritazione dei club calcistici, che insistono sulla necessità che i tesserati si allenino per almeno un mese. Fonti vicine ai team hanno fatto capire che vi era anche un accordo politico già raggiunto, che l’esecutivo rosso-giallo avrebbe disatteso.

Il dicastero dello Sport ha però smentito categoricamente. «La data della ripartenza del campionato è stata espressamente esclusa dalla discussione intercorsa nella riunione con FIGC, Leghe e tutte le componenti del mondo calcistico tenuta la settimana scorsa. Su questo il Ministro si aspetta il chiarimento del presidente della Figc Gravina».

Non solo. «Il protocollo presentato e oggetto di approfondimento in questi giorni infatti riguarda esclusivamente la ripresa degli allenamenti. Nessun impegno è stato assunto dal Governo per un arco temporale così lungo, non potendo fare previsioni» sull’andamento della pandemia.

Sembra una posizione di buon senso. Eppure, la polemica non accenna a diminuire, col risultato che il calcio nostrano si ritrova ostaggio di due opposte fazioni.

Sport e coronavirus

«Sono ridicole le affermazioni di chi sostiene che ci sia un complotto contro la serie A ed è ridicolo chi lo sostiene». Così Spadafora via social, aggiungendo che il riavvio deve anzitutto scongiurare la possibilità di nuovi contagi.

Pur non facendo nomi, era pacifico che l’esponente pentastellato avesse un bersaglio a forte tinte biancocelesti. È infatti la Lazio la società che più sta spingendo per tornare in campo, tanto che da alcuni tesserati sono arrivate dichiarazioni oggettivamente fuori luogo.

Secondo il centrocampista Marco Parolo, per esempio, «la categoria dei calciatori è stata penalizzata». Mentre per il Ds Igli Tare, qualunque sia lo scopo del Ministro, «non è quello di aiutare il calcio».

È certamente comprensibile l’insistenza del club di Claudio Lotito, data la sua storica scarsa propensione a lottare per lo scudetto. Anzi, secondo il sarcasmo social sarebbe il momento migliore per completare anche la patetica rivendicazione del titolo del 1915: onde risparmiare sulle marche da bollo.

Decisamente più sconcertante è l’evocazione del solito gomblotto, soprattutto in un periodo contrassegnato da una crisi sanitaria senza eguali – almeno in epoca contemporanea. A meno che non si voglia accusare la Cina di aver diffuso il Covid-19 per una pur giustificabile antipatia verso Lotito.

«Perché dal 4 maggio via libera solo agli sport individuali e non a tutti? A me sembra anche assurdo chiederlo» ha ironizzato Spadafora. «Dovevamo consentire una riapertura graduale e mi pare evidente, anche a chi vuole fare finta di non sentire, che gli sport individuali impegnano un numero minore di persone».

E sono anche caratterizzati da minori contatti, il che rende più difficile la trasmissione dell’infezione. E, con buona pace di qualche improvvisato virologo autodidatta, la precedenza adesso ce l’ha la salute.

Non è la fine del mondo

Pochi giorni fa, l’ala brasiliana del Chelsea Willian ha espresso le proprie riserve circa la volontà della Federcalcio inglese di ultimare la Premier League. «Se ricominciassimo a giocare senza tifosi, ma ci fosse un contatto in campo, forse potremmo trasmetterci il virus. Prendo il virus, poi torno a casa dopo la partita per stare in famiglia e lo passo a mia moglie o alle mie figlie. Perciò dobbiamo stare attenti».

Tanto più che il Comitato tecnico-scientifico del Governo pare abbia fatto trapelare che, alla prima nuova positività, seguirebbe un ulteriore stop immediato. Uno scenario, solo ipotetico, cui però si accompagna già una certezza: la penuria di tamponi – anche per i medici in prima linea nell’emergenza. Va da sé che, a meno di esuberi improvvisi, gli atleti non rappresentano una priorità.

Dopodiché, è certamente possibile studiare una diversa forma per concludere l’annata, come i playoff scudetto e i playout retrocessione. Ma sempre senza certezze, perché il virus potrebbe avere altri progetti.

In fondo, «tutti gli sport hanno preso decisioni diverse dal mondo del calcio», come da frecciata di Malagò. Non solo: anche gli Europei del football sono stati differiti di un anno, e perfino le Olimpiadi.

Non sarebbe quindi la fine del mondo se il campionato 2019-2020 si fermasse definitivamente. Né se ci si esimesse dall’assegnare il tricolore, o se si bloccassero promozioni e retrocessioni.

Al massimo, sarebbe il triplice fischio per una stagione già fin troppo travagliata. Ma il bello dello sport è anche questo: c’è sempre un’altra partita, c’è sempre un’altra gara.

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