A Viterbo tutti in piazza per la festa pasquale: una tradizione gastronomica straordinaria

Grande partecipazione, con le autorità in testa, ma il vero festeggiato è stato lo spirito di gruppo, il sentimento identitario dei viterbesi

Viterbo

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Torna la tradizione contadina in piazza. La colazione di Pasqua a Pianoscarano fa il pieno: la scarsella e il bracone, un quintale di coratella e salami, 80 kg di formaggi, circa 80 pizze pasquali, 200 colombe, le uova sia sode che di cioccolato e tanto vino rosso.

Rispettato l’appuntamento con la tradizione di Pasqua, che ha chiamato a Viterbo più di due mila persone. Il quartiere di Pianoscarano è stato addobbato con bancarelle che offrivano le specialità della provincia gratuitamente dall’associazione Amici di Pianoscarano – Club Giulio Selvaggini, dalla Parrocchia sant’Andrea e dalla storica Associazione ex facchini di Santa Rosa.

Una montagna di prelibatezze viterbesi offerte gratuitamente agli intervenuti

Ottanta Pizze di Pasqua, oltre 200 colombe, un quintale di salumi tra cui il pregiato capocollo, un quintale di coratella, 80 chili di formaggi, uova, sia sode che di cioccolato e per i più assetati non è mancato nemmeno il vino, rigorosamente rosso, come impone l’usanza.

Una mole di cibo impressionante per soddisfare tutti i palati e celebrare la tradizione, che si ripete ormai da 27 anni. A cucinare, sul posto, più di venticinque persone. L’evento, che si svolge nella piazza principale del rione, ha registrato il consueto pienone. 

Duemila persone in piazza a Pianoscarano per la colazione di Pasqua. Una tradizione antica che s’era persa e che appartiene alla Viterbo contadina

Si tratta di una tradizione antichissima, nata subito dopo la fine della prima guerra mondiale. Allora i contadini che abitavano nel quartiere di Pianoscarano, la mattina di Pasqua aprivano le cantine sulla strada per riunirsi e festeggiare facendo colazione insieme.

La tradizione, prevedeva l’obbligo di offrire il cibo a tutti i passanti che si fermavano. Negli anni 50 la festa venne abbandonata, fino ai primi anni del 2000, quando l’associazione Amici di Pianoscarano la riportò in auge. Grazie a loro, ogni mattina di Pasqua si torna a festeggiare in piazza Fontan di Piano, dove una gigantesca tavola viene allestita con l’offerta di cibo che abbiamo descritta, offerta a tutti i passanti, oggi come un tempo. 

La regina di questa abbuffata è da sempre la coratella con la cipolla alla viterbese, cucinata dalle donne del quartiere, come vuole la tradizione. A chi si avvicinava per la degustazione delle specialità veniva chiesto un’offerta in cambio del cibo consumato, chi voleva poteva lasciare qualcosa e tutto il ricavato è stato devoluto dall’Associazione ad un ente benefico.

La scarsella e il bracone, dolci pasquali tipici della tradizione viterbese

Per molti anziani è stato un tuffo nel passato, quando queste feste univano una popolazione più semplice, quando la vita era sempre difficile, come oggi, ma diversamente. C’erano più speranze, c’era più ottimismo sul futuro. Oggi l’amarezza di molti è che la speranza di vedere migliorare la situazione si va via via affievolendo. Saranno questi venti di guerra, saranno queste preoccupazioni per un Italia che perde punti nel mondo, per un lavoro che stenta a ripartire e per le tasche vuote che l’economia nazionale lascia alle famiglie.

Si sono riviste la scarsella e il bracone, mitici dolci degli anni d’oro. La scarsella si chiama così per via di come venivano chiamate in dialetto viterbese le borsette delle donne. Il bracone invece prende il nome da come si apostrofavano i ragazzi che portavano la cintura ai pantaloni invece delle bretelle. Sono due figure di pasta con al centro un uovo e, a Pasqua, si ripete il rito della rottura come si fa sempre coi dolci prima di dividerli tar gli astanti affinché vengano consumati. Una volta questo succedeva nei pic nic sull’erba, nelle gite fuori porta, quando le famiglie stavano meglio anche se stavano peggio.

Queste feste appartengono a tutta l’Italia contadina, del nord e del sud

Queste feste sono tipiche delle zone rurali dell’Italia contadina. Servivano a cementare la comunità e si ripetono. Ovunque a nord e a sud tutte uguali, con gli stessi rituali. Si occupa la piazza più rappresentativa del borgo o della città, si chiama a raccolta l’intera comunità, con le autorità religiose, i rappresentanti del Comune, le associazioni di lavoratori, la gente del quartiere, i contadini che portano le proprie produzioni tipiche, con le quali un nucleo di massaie particolarmente volenterose preparano i piatti tradizionali, quelli che costituiscono l’identità del territorio e che confermano l’appartenenza a una comunità.

Queste feste nelle città spariscono perché le comunità si sciolgono, si mescolano, le une nelle altre e si perde quel legame di unione tra famiglie che le legava prima. Perdendo questo sentimento di appartenenza ci si sente più soli e più indifesi. Estranei tra estranei. È il problema della vita in città e per certi è anche il suo bello. Per chi non ama il pettegolezzo, l’essere riconosciuti, per chi si sente più libero se nessuno lo saluta al mattino quando esce di casa. Ma poi il cittadino torna al paese e quando trova la festa del passato ci si cala dentro come se ritrovasse la mamma.

La partecipazione è stata quasi al completo, con le autorità in testa ma il vero festeggiato è stato lo spirito di gruppo, il sentimento identitario dei viterbesi

Alla festa era presente il vescovo Orazio Francesco Piazza, che ha elogiato il valore conviviale di questo appuntamento. A rimarcare anche l’aspetto religioso dell’evento era presente anche don Dante di Pianoscarano e per il Comune alcuni rappresentanti dell’amministrazione della sindaca Frontini: il presidente del Consiglio Marco Ciorba, gli assessori Emanuele Aronne e Stefano Floris e i consiglieri Giancarlo Martinengo, Francesca Pietrangeli, Maria Rita De Alexandris, Rosanna Giliberto, Umberto Di Fusco e Alessandra Purchiaroni. Un momento conviviale, come ribadito dal vescovo Piazza, che rafforza lo spirito di comunità dei viterbesi in un momento non particolarmente facile, visto quel che accade nel mondo.