Caringella, si torni a parlare di contratto pubblico

Abbiamo incontrato Francesco Caringella, presidente di Sezione del Consiglio di Stato, presso la facoltà di Economia dell’Università di Tor Vergata

Abbiamo incontrato Francesco Caringella,presidente di Sezione del Consiglio di Stato, presso la facoltà di Economia dell’Università di Tor Vergata in occasione di una lezione introduttiva al corso di studio del Professor Gamberini. Il presidente ha toccato vari argomenti, tra i quali ha dedicato particolare attenzione a quello dei contratti pubblici. “La proliferazione delle leggi nel campo dei contratti pubblici,di certo non centra l’obiettivo di semplificazione dell’azione amministrativa e in tale ambito diventa opportuno porre l’accento anche sulla ‘certezza’ dell’esito del provvedimento”,prosegue il presidente “Chi presenta un’istanza, chi partecipa ad una garaoppure chi propone un ricorso amministrativo al Giudice, deve sapere presumibilmente quale sarà l’esito della sua azione”.

Il mosaico delle norme italiane dedicate agli appalti pubblici supera oggi i 200.000 testi normativi (basti pensare che in Germania e Francia ce ne sono meno di 5.000). “Tacito insegna che il grado di civiltà di un paese è inversamente proporzionale al numero delle leggi al suo interno, le leggi si elidono, creando caos e contrasti interpretativi e le contraddizioni producono l’assenza della norma, costringendo l’interprete a trovare la propria norma, con un tasso di soggettività che non è accettabile”. Seguita il presidente “Le procedure vanno standardizzate, non è possibile che si riducano a ‘scommesse’ nelle quali si confida nella coincidenza tra la propria opzione e quella del giudice.”

Il discorso prosegue “Si dimentica che la procedura non è un fine ma ‘un mezzo’, il bene della vita reale del Codice dei Contratti non è la procedura di gara ma è il contratto pubblico”. Si potrebbe citare la vicenda del ponte sullo stretto che è incluso nell’elenco delle infrastrutture incompiute della legge obiettivo dei piani strategici. Oggi solo l’8% delle opere pubbliche finanziate sono state completate. Questo vuol dire che il restante 92% delle opere pubbliche strategiche per l’interesse nazionale non hanno visto luce(pur essendo state finanziate e in buona parte pagate). La scelta di fare il ponte sullo stretto è stata per ora abbandonata, senza dimenticare che questa operazione costa circa 2/3 milioni di euro l’anno. Cosa ci dimostrano questi dati? Di sicuro che troppo spesso la gara viene fatta per l’aggiudicazione e non per il contratto, né per l’opera pubblica, ma unicamente per il vantaggio economico.

“Non è più tempo di Animal Farm, quando si diceva gli animali sono tutti uguali davanti alla legge, ma i maiali sono un po’ più uguali degli altri”aggiunge ironicamente il presidente, “la PA può dunque recedere solo usando strumenti privatistici, e nei limiti in cui la legge glielo concedeo se il contratto stesso lo prevede”. Ma se il contratto pubblico è espressione di autonomia privata,soggetta alle regole ordinarie del contratto,bisogna allora chiedersi se può essere considerato un atto amministrativo? Verrebbe da dire che per il solo fatto che è stipulato dalla PA ed è imputabile al soggetto pubblico, si tratterebbe di un atto soggettivamente amministrativo. L’aggiudicazione, secondo questa interpretazione, non lascerebbe certezze in mano dell’aggiudicatario, che dopo aver vinto “questa corsa ad ostacoli”, resterebbe titolare di una mera speranza che la PA decida di stipulare il contratto.

Sembrerebbe più logico affermare che il bando ha una doppia anima: come primo atto della fase pubblicistica, e come atto di assunzione dell’obbligo privatistico di stipulare il contratto con l’aggiudicatario, che diventa efficace quando l’aggiudicatario viene individuato, e quindi acquisirebbe un diritto soggettivo e di conseguenza la possibilità che il giudice tuteli la sua posizione mediante una sentenza ex 2932 c.c.

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