Femminicidi, ogni giorno vengono uccise 3 donne: una guerra silenziosa

Una guerra silenziosa contro le donne. Così l’Istituto mediterraneo per il giornalismo investigativo (Miir) di Atene ha definito il fenomeno dei femminicidi

Femminicidi, violenza sulle donne

Il record di femminicidi nei Paesi baltici al Nord Europa

In genere non sono i Paesi latini quelli in cui le donne vengono ammazzate per gelosia, senso di possesso, incapacità ad accettare la voglia di libertà. La Grecia ha avuto un incremento post pandemia di +187,5% e la Slovenia del 100% nel 2020, in rapporto a prima della pandemia. Il record è detenuto dalla Lettonia, con 4,09 casi ogni 100mila donne (per un totale di 42), nel 2020. Più del doppio di Lituania ed Estonia che, con 1,95 e 1,43 rispettivamente, occupano il secondo e terzo posto e molto al di sopra di tutti gli altri paesi dell’Ue.Sono 3.232 i femminicidi nei 20 stati dell’Unione Europea, tra 2010 e 2021, secondo le stime del Miir. Sono numeri sottostimati. Mancano all’appello i dati relativi a otto stati membri (Polonia, Bulgaria, Irlanda, Danimarca, Lussemburgo, Belgio, Portogallo e Romania), per i quali non è stato possibile reperirli. Inoltre, si tratta di cifre molto lontane dai 6.593 omicidi commessi da familiari o (ex) partner riportati da Eurostat.

I dati dei femminicidi in Italia in leggero calo

Secondo il Viminale, fino al 23 luglio 2023, comparando il dato con gli omicidi avvenuti nello stesso periodo dello scorso anno, si nota un aumento da 177 a 184 (+4%), mentre diminuisce il numero delle vittime di genere femminile, che da 72 diventano 65 (-10%).

Per i delitti commessi in famiglia, o comunque affettivi, c’è un incremento leggero di un 1%, da 82 a 83, mentre diminuisce il numero delle donne assassinate, che da 62 scendono a 52 (-16%).

In flessione, rispetto allo stesso periodo del 2022, anche il numero degli omicidi commessi dal partner o ex partner, che da 39 diventano 35 (-10%), e quello delle relative vittime donne, le quali da 38 passano a 31 (-18%). Infine, nel periodo dal 17 al 23 luglio 2023 risultano commessi 9 omicidi, con 3 vittime di genere femminile, di cui 2 uccise in ambito familiare o affettivo, una delle quali per mano dell’ex partner. Gli ultimi sono l’accoltellamento della giovane 20enne nel Milanese, per mano dell’ex fidanzato. L’omicidio di una infermiera 63enne, in Trentino per mano del suo vicino con un colpo di accetta. Infine il caso di Pozzuoli, dove un 50enne ha sparato alla moglie di 39 anni per poi suicidarsi, mentre in casa in quel momento c’erano anche i loro tre figli minorenni. La flessione o il leggero incremento non significano molto. Il dato serio e che segue la striscia di sangue, anche da noi e sempre per gli stesi futili motivi e con la stessa ferocia.

La stampa e la tv riempiono di notizie di cronaca nera i loro spazi

La cronaca nera riporta tutti questi casi, ci sguazza, sembra l’unica cosa permessa in televisione. Fa ascolto e lo share porta pubblicità. I programmi, inutilmente, in diretta parlano solo di omicidi, gente scomparsa, liti, ferimenti e così anche i Telegiornali, al di là delle dichiarazioni dei politici fatte con lo stampino, uno che dice bianco e uno che dice nero, poi non c’è che una sequela di incidenti e omicidi dal Brennero a Lampedusa, quando non avviene qualche inondazione, frana, terremoto, a variare la scaletta per alcuni giorni, con conseguenti raccolte di fondi per gli aiuti, chiamando il numeretto e inviando 1 euro, ecc. Non so a voi a me pare tutto molto assurdo.

I femminicidi ricevono uno spazio molto ampio. Lo si fa per informare le altre donne.  Ma allora spiegatemi perché dopo anni di queste informazioni non è cambiato niente?

Sono spariti dalle tv i migranti, anche se non ne sono mai arrivati tanti come quest’anno, si parla già di 60.000 sbarchi, con un numero di naufragi impressionante, donne e bambini affogati e ritrovati in mare e sulle spiagge. Ma non se ne parla più, perché il Governo è in imbarazzo, dopo tante promesse. Ma gli omicidi e i femminicidi no. Questi possono occupare ore di programmazione. La risposta immediata del pubblico è che ci vuole più polizia, più repressione, più leggi dure contro gli assassini e, perché no, la solita “pena di morte” o la “castrazione chimica” per i pedofili. Come se le pene più dure avessero mai sortito qualche effetto. Non è questa la strada ma fa comodo che la gente lo pensi.

Non solo gli islamici trattano male le loro donne, lo fanno anche i cristiani

Qual è il rimedio contro queste morti? Cosa può fermare la violenza dei mariti e dei fidanzati che non accettano di essere ex o di poterlo diventare?

Ma non sono solo gli affini, anche i parenti, padri, fratelli, zii spesso fanno valere il loro “diritto” di giudizio su sorelle, figlie e nipoti.

Sento spesso giudizi durissimi sugli islamici che maltrattano le loro donne fino al caso di Saman Abbas, la ragazza pakistana uccisa a Novellara (Reggio Emilia) da alcuni membri della famiglia, con l’assenzo dei genitori, madre compresa, per essersi rifiutata di accettare un matrimonio combinato in Pakistan.

Si, sono stati brutali e verranno condannati dalla legge italiana, peraltro i colpevoli dovrebbero essere estradati col consenso del Governo pakistano. Nessuna legge coranica li obbligava o permetteva loro di uccidere la figlia ribelle.

Il Corano condanna l’omicidio e non troverete nulla che giustifichi l’assassinio di Saman. Tutt’altra questione sono i matrimoni combinati e la libertà di scelta delle donne, perché Maometto sancisce che la donna deve essere subordinata alla volontà dell’uomo. 

Ma stiamo parlando di leggi scritte migliaia di anni fa e le società islamiche non seguono alla lettera tutto ciò che diceva Maometto, come noi cristiani non seguiamo alla lettera la Bibbia e il Vangelo, a parte qualche setta di fanatici.

Sono leggi d’onore, come quelle in vigore da noi fino al 5 agosto 1981! Solo 40 anni fa!

Io non trovo grandi distanze tra i comportamenti di certi islamici e di certi cristiani, ma come abbiamo visto anche di certi cristiani dell’Europa del nord, come i Lettoni e i Lituani o gli Ungheresi. In testa alle classifiche dei paesi con maggior numero di femminicidi ci sono loro.

Cresce l’attenzione sui femminicidi ma bisogna intervenire sugli uomini

Cresce da noi l’attenzione sul fenomeno. “I dati dei paesi europei sono abbastanza simili, ma il fenomeno dei femminicidi negli ultimi anni è più avvertito nei paesi latini, dove continua a crescere la sensibilità sulle violenze di genere, anche per ragioni socio-culturali”.

Sono parole di Stefano Delfini, direttore del servizio di analisi criminale della direzione centrale Polizia Criminale. Le leggi ci sono e non sono tenere. Manca l’aggravante per il movente di genere. Usare violenza su una persona più debole, dev’essere un’aggravante.

Il femminicidio è un problema strutturale che richiede politiche specifiche. Nei primi anni Novanta, riporta Istat, per ogni donna uccisa c’erano 5 uomini uccisi. Nel tempo tale rapporto è gradualmente diminuito fino ad arrivare nel 2021 a 1,6. “Il numero di donne uccise negli anni è rimasto sostanzialmente stabile, a fronte invece di una diminuzione degli omicidi”, commenta il responsabile della Polizia criminale del Ministero degli Interni.

Ho sentito dire che non basta informare le donne che si rendano conto di quando un uomo è sbagliato, di quando ha inizio la violenza, il primo schiaffo, le prime botte. I magistrati hanno le mani legate. Se non c’è il reato non possono agire contro delle minacce, o delle paure, sono prove labili. Quando arrivano le botte e i ferimenti possono allontanare l’uomo ma chi lo fermerà in tempo qualora decidesse di tornare?

Se gli uomini capissero quale liberazione sia non sentirsi padroni

Bisogna fare di più per proteggere donne e bambini, case rifugio, identità celata, super protezione della Polizia. Per ora è l’unica difesa ma lui è sempre in agguato. Il problema è lì, nella mente dell’ex scacciato, umiliato, offeso.

Lui cova il rancore e la vendetta contro la ex che gli si è sottratta, portando via i figli. È sulle menti degli uomini che bisognerebbe intervenire. Non so come, che ce lo dicano gli psichiatri e gli psicanalisti. Se c’è un modo. Forse riunirli in piccoli gruppi, come quelli degli ex alcolisti.

Che si confrontino fra ex, aprendosi a momenti di confidenze e per consentire loro di slacciarsi da questa catena che li obbliga alla vendetta, come unica via per acquietare l’orgoglio ferito. Riuscire a capire che lei non è tua, i figli non sono una proprietà, che ogni essere umano è libero e che infinite sono le possibilità di ricostruirsi una vita, cambiando mentalità. In fondo anche l’omicida o il potenziale assassino è una vittima: di sé stesso, del suo orgoglio, di una mentalità stupida che impone all’uomo di sentirsi padre padrone e tutore delle vite dei suoi familiari. 

Questa mentalità vige nei rapporti delle famiglie europee anche quando non sfocia nel femminicidio. Quando succede è solo l’atto finale ma le premesse ci sono da prima. Da quando si è ragazzi.

Storie di vite spezzate, un danno per tutti, i figli per primi

Martina Scialdone, 34 anni, uccisa a Roma il 13 gennaio di quest’anno, ammazzata in zona Furio Camillo tra i quartieri Tuscolano e Appio Latino. La vittima è stata raggiunta da un colpo di pistola sparato dall’ex compagno Costantino Bonaiuti di 61 anni.

Oriana Brunelli, 70 anni, è morta il 14 gennaio a Bellaria Igea Marina (Rimini), ammazzata dall’ex amante Vittorio Cappuccini di 80 anni. Secondo quanto ricostruito, i due avevano una relazione extraconiugale. Lui, ex vigile, l’ha uccisa con tre colpi di pistola e dopo si è tolto la vita.

Giulia Tramontano, 29enne scomparsa da Senago, in provincia di Milano, e incinta di 7 mesi. Ad ucciderla Alessandro Impagnatiello, compagno della ragazza e padre del bimbo che Giulia portava in grembo. L’uomo l’avrebbe uccisa con un paio di coltellate cercando poi di bruciare il corpo. Avrebbe quindi trasportato il cadavere nel bagagliaio della sua macchina, dove sono state rinvenute tracce di materiale organico. Il movente sarebbe legato a un’altra relazione che l’uomo aveva con una collega. Giulia Donato, 23 anni, uccisa il 4 gennaio a Pontedecimo (Genova), dall’ex compagno. Il suo corpo viene ritrovato dalle forze dell’ordine dopo l’allarme lanciato dalla sorella. Secondo le ricostruzioni il trentaduenne, una guardia giurata, era arrivato a casa dell’ex fidanzata armato della propria pistola d’ordinanza. Prima le ha sparato, poi si è suicidato con la stessa arma da fuoco. Spesso questi ex sono vigili, guardie, hanno una pistola.

Che inizino nelle caserme a fare opera di educazione maritale! A far capire a brigadieri e guardi giurate che essere marito e padre non significa avere potere di vita e di morte sui propri cari. Loro sono quelli che dovrebbero intervenire a difesa delle vittime e invece succede che, a volte, siano gli assassini.

Un caso diverso, una lei che ce l’ha fatta a non essere uccisa

Ci sono voluti sei anni di una relazione violenta e umiliante prima che Anna (nome di fantasia)  riuscisse ad allontanarsi, a chiedere aiuto, a denunciare.

La spinta a salvarsi, come accade molto spesso, è arrivata per i suoi due bambini. “La nostra sembrava una bella storia d’amore, una come tante. Certo, da subito lui si era mostrato molto geloso e possessivo. Ma io avevo scambiato i suoi atteggiamenti per attenzione, per cura. ‘Mi considera preziosa’, pensavo”. Anna ha 36 anni ed ora si è liberata, ha riscoperto sé stessa, le sue potenzialità, dopo aver visto l’inferno. 

Sei mesi fa Anna è andata via di casa con i suoi due figli. Non era la prima volta: nei sei anni di relazione era successo diverse volte, dopo litigi, botte, insulti.

C’era stata anche una denuncia, in ospedale. Anna si è sempre rifugiata da sua madre, come tutte le altre volte, per sfuggire alle minacce e agli insulti. Ma poi, sempre, si era lasciata convincere a tornare. 

Mi aggrappavo all’idea che lui fosse pentito, che sarebbe cambiato. Sono sempre rimasta attaccata all’idea di lui, quella che mi ero fatta nei primi mesi insieme e pensavo che la parte ‘buona’ avrebbe prevalso. Ma non era mai così”. Ogni volta che andava via, Anna poi tornava, convinta dalle sue preghiere e dalle sue promesse.

Le Case rifugio, una soluzione (provvisoria) di vita

L’unica volta che ce l‘ha fatta a non tornare è stato quando ha scelto di andare in una casa rifugio, dove sapeva che lui non l’avrebbe potuta trovare. 

Le Case Rifugio, spesso a indirizzo segreto, ospitano le donne ed i loro figli minorenni per un periodo di emergenza e il più delle volte sono collegate o gestite dai Centri antiviolenza. La Casa Rifugio che ha ospitato Anna fa parte della rete D.i.ReDonne in Rete contro la violenza.

Dopo 5 mesi e mezzo nella casa rifugio, Anna è tornata dai suoi genitori con i suoi bambini. E’ costantemente monitorata dagli assistenti sociali. II processo è ancora in corso, al suo ex è stata sospesa la potestà genitoriale. Gli assistenti sociali gestiscono gli incontri protetti del padre con i figli. Speriamo bene. Ma chi ci assicura che un giorno lui sfugga ai controlli?