Governo, il giorno più lungo per Mario Draghi. Oggi salirà al Quirinale per le dimissioni

Draghi aveva paura dello sfilarsi della Lega di Salvini oltre ai problemi con i grillini di Giuseppe Conte. E così è stato

Mario Draghi al Parlamento italiano

Mario Draghi

Mario Draghi lo sospettava. Aveva paura dello sfilarsi della Lega di Matteo Salvini oltre ai problemi con i grillini di Giuseppe Conte. E così è stato. Ma andiamo con ordine.

“Siamo pronti a votare la risoluzione del centrodestra. Non possiamo votare una risoluzione che preveda il Movimento 5 stelle al governo. Il presidente Berlusconi lo ha anticipato al Presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio”. Mentre in Aula vanno avanti le dichiarazioni di voto il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani, da Villa Grande, anticipa ciò che i senatori di Lega e Forza Italia diranno dopo pochi minuti a Palazzo Madama.

E cioè che il centrodestra di governo ha deciso di astenersi sul voto di fiducia richiesto dal premier sulla risoluzione del senatore Pierferdinando Casini, che chiede al Senato di approvare tout-court le comunicazioni rese dal premier in mattinata. Questo è il primo vero “colpo” alla tenuta del governo Draghi. “Non è una questione di poltrone, il problema è politico, vogliamo un governo stabile senza una forza politica che faccia la guerriglia ogni giorno alla sua maggioranza”, ha spiegato Tajani.

Il tema è strettamente politico. “Si è frantumato il patto di fiducia che ci teneva insieme e che teneva sopito il malumore”, ha detto in Aula la presidente dei senatori azzurri, Anna Maria Bernini annunciando la decisione del gruppo di astenersi. “La fiducia di oggi andava costruita con altri presupposti”, ha proseguito facendo riferimento proprio alla proposta del centrodestra.

“Crediamo nel direttore d’orchestra, non crediamo negli orchestrali stonati”, è la metafora che chiama in causa il Movimento 5 Stelle, responsabile della crisi secondo Forza Italia. Un particolare che viene sottolineato in più di un’occasione dalla senatrice che non nasconde la sua “perplessità” per il “biasimo percepito nei confronti del centrodestra”.

“Non siamo noi quelli degli out-out, delle bandierine identitarie e delle scissioni”, rimarca Bernini. “La crisi – insiste – non è stata né voluta né provocata da Forza Italia e la nostra soluzione di mediazione non è stata ascoltata”. Subito dopo ha annunciato la stessa mossa anche il senatore leghista, Stefano Candiani. “Dispiace – ha detto – che non abbiano scelto la nostra risoluzione e che questo ci abbia messo nelle condizioni di non partecipare al voto per la fiducia su un’altra risoluzione, non a caso firmata da Casini”.

“Diciamo sì a un governo nuovo fatto dalla Lega e da chi lo voglia sostenere, altrimenti si dia la parola agli italiani”, afferma senza mezzi termini. “Ci sarebbe piaciuto – attacca rivolgendosi al premier – che si prendesse cura di tutti i partiti della maggioranza senza fare la differenza tra figli e figliastri”. “Questa instabilità della maggioranza – accusa – è data dai continui cambi di casacca e dalla non qualità di chi la compone.

Il problema non è lei ma di quella parte di maggioranza, a partire dai Cinque stelle e dal Pd, che ha creato solo fibrillazioni”.

Candiani ha poi ringraziato i ministri e i sottosegretari della Lega per essere stati sempre “leali”. Ma l’azione di governo, ha chiarito, “non si può reggere sull’inaffidabilità”. O nasce “un governo rinnovato nei suoi indirizzi politici e nella sua composizione” o si va al voto, è la posizione della Lega, che chiede di uscire dallo “stallo”. Anche la capogruppo del M5S, Mariolina Castellone, ha annunciato, come prevedibile, l’astensione.

“Queste posizioni ci obbligano a prendere atto che il problema siamo noi”, ha detto. “Noi – ha aggiunto – togliamo il disturbo però vogliamo assicurare i cittadini che ci saremo sempre quando si tratterà di approvare provvedimenti utili, continueremo le nostre battaglie nel Parlamento e nel Paese”. Insomma, per Mario Draghi, ieri è stato il giorno più lungo e oggi, dopo la formalità della Camera, andrà al Quirinale per le dimissioni.