Il Risorto se ne va e scende lo Spirito Santo

Un posto prenotato in cielo

In questa sesta domenica di Pasqua, che precede immediatamente la festa dell’Ascensione, la lettura biblica del Vangelo (Gv. 14, 23-29) ci propone alcune parole di addio di Gesù nell’ultima cena: il maestro spiega che la sua scomparsa agli sguardi dei suoi è la condizione della sua presenza permanente e vivificante presso quelli che credono in lui. All’inizio del capitolo (14, 1) Gesù ha invitato gli apostoli a non turbarsi alla prospettiva del suo ritorno al Padre, perché il Padre manderà loro per assisterli un altro “Paraclito” (Difensore), nella persona dello Spirito Santo (14, 16-17); Gesù stesso ritornerà in mezzo a loro, invisibile al mondo ma visibile a quelli che credono (14, 18-21).

L’apostolo Giuda Taddeo si fa interprete della meraviglia di tutti i discepoli: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo? (14, 22). Tutti i discepoli, infatti, sognavano una manifestazione fantastica, nel fulgore della gloria di Dio e percettibile ai sensi. Non avevano ancora compreso che la venuta dello Spirito Santo e quella di Gesù sono conosciute solo nella fede. Apparentemente Gesù sembra ignorare la domanda e la meraviglia di Giuda Taddeo, ma in realtà Gesù risponde direttamente, poiché annuncia la manifestazione del suo mistero e il motivo per cui è inaccessibile al mondo. D’ora in poi l’incontro del discepolo con Dio avviene se si è disposti a ricevere la sua parola nella fede e rispondervi con l’amore: “Se uno mi ama osserverà la mia parola…” (v. 23ss).

I discepoli sanno che amare Gesù significa innanzi tutto “osservare la sua parola”, cioè riconoscere nel suo messaggio le esigenze e i doni dell’amore divino, e rispondervi con l’impegno concreto e generoso di tutta la vita. A chi lo ama così, Gesù fa la promessa più straordinaria: insieme al Figlio, il Padre in persona verrà presso il fedele, e prenderanno dimora in lui come nel loro tempio. Gesù promette ai suoi, fin da questo mondo, una comunione personale con Dio nel più profondo della sua vita trinitaria: si tratta della presenza divina immediata nell’intimità e nell’amore! Per chi invece rifiuta il suo messaggio, la venuta invisibile della Trinità rimane inaccessibile, perché non “conoscono” Gesù, e quindi non conoscono il Padre che è la fonte di questo messaggio: qui Giuda Taddeo trova la risposta alla sua domanda; Gesù può essere conosciuto solo mediante la fede, può manifestarsi solo ai credenti.

La Pasqua inaugura un tempo nuovo in cui i rapporti tra il maestro e i suoi cambiano. La tradizione delle parole di Gesù durante la sua vita terrena rimane, e darà origine ai Vangeli; ma sarà totalmente rinnovata dallo Spirito Santo: “…lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (v. 26). Nella chiesa, infatti, la Parola di Dio contenuta nelle Scritture non è un deposito morto, una collezione di parole fossilizzate, perché viene trasmessa dallo Spirito Santo. E lo Spirito è dato ai discepoli nel giorno di Pasqua, soprattutto per “ricordare” loro il messaggio di Gesù, facendone comprendere il significato alla luce della Pasqua, cioè sotto l’ispirazione dello Spirito del Risorto, che il Padre manderà “nel suo nome”.

Ma si avvicina il momento in cui Gesù sta per partire verso l’orto degli Ulivi, al di là del torrente Cedron: è il momento degli addii. I discepoli stentano a superare la prospettiva spaventosa della Passione che si avvicina. La partenza che Gesù annuncia loro li riempie di sgomento: “Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore…Vado e tornerò da voi” (v. 28). All’inizio del capitolo aveva già cercato di tranquillizzare i discepoli dicendo ad essi che tornava alla casa del Padre per preparar loro un posto: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore…Vado a prepararvi un posto” (Gv. 14, 2). Gesù cerca in tutti i modi di calmare le apprensioni dei discepoli: egli dona ai suoi discepoli la pace, il dono più prezioso del Messia; e la dona prima di morire, tanto è certo della sua vittoria e dei suoi frutti. Ritornando al Padre che l’ha mandato, Gesù ritroverà la sua “gloria”, la potenza e la signoria che manifesterà nelle apparizioni pasquali. Gesù abbandonerà “l’annientamento” della condizione di servo; sarà esaltato da Dio nella sua umanità fino alla gloria trascendente della signoria divina. Queste prospettive trionfali dovrebbero assicurare la gioia dei discepoli, anche alla vigilia della croce.

Sembra tutto inutile! Lo scandalo della croce li turberà profondamente: lo attestano la loro fuga precipitosa e poi presenteranno questa morte come uno scandalo a cui si può rispondere solo mostrandola come già annunciata dalle Scritture. Ancora oggi, per noi, la croce è un ostacolo (scandalo) alla fede in Dio!

La giornata di oggi è stata per il capocordata colma di tristezza a motivo della tanta sofferenza ascoltata raccontare dai suoi fedeli incontrati nell’esercizio della sua missione pastorale. Si inizia dalla storia di una vedova che rivive la malattia del marito appena scomparso: una ferita ancora aperta, alleviata solo dalla forza che le da il prendersi cura della figlia gravemente disabile; poi il grande dolore di una donna anziana, quasi cieca, che snocciola i suoi grani del rosario ricordando tutte le esperienze dolorose che sono venute accumulandosi negli ultimi mesi; in ultimo, la morte prematura di un padre di famiglia, adorato dalla moglie e dalle sue figlie, vissuta, a sentire un congiunto della famiglia,come un’assurdità e come la più grande delle ingiustizie.

A tutti noi il Cristo ripete ancora: “Vado a prepararvi un posto”! Nella malattia che conduce alla morte istintivamente siamo portati a vedere ciò che perdiamo: la scomparsa di una persona amata, il vuoto incolmabile che lascia dietro di sé, il lutto e il dolore nelle persone che rimangono in vita, e molto spesso la perdita della fede e della fiducia in Dio, in noi stessi e negli altri. In quel momento nessuno pensa, invece, a ciò che guadagna chi muore e soffre per morire: la vita eterna, la gloria del paradiso. Solo allora, forse, capiremo perché Gesù, in procinto di morire sulla croce, dice ai suoi discepoli: “Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre” (v. 28), perché vado a prepararvi un posto in Paradiso! Sì, è triste morire, vedere morire, sentire raccontare una morte, specie annunciata da una lunga malattia mortale, ma deve essere un motivo di gioia sapere che i nostri cari vivono la gloria di Gesù Risorto.

Bibliografia consultata: George, 1971.

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