Istanza di condono edilizio respinta dopo molti anni: è lecito?

L’istanza, presentata nel 1986 ai sensi della legge 47/85, è stata oggetto di un lungo iter burocratico, culminato nel rigetto ufficiale il 26 giugno 2014

Ponteggi, impalcatura in cantiere edile

Impalcatura in cantiere edile

Nel contesto del dibattito sempre acceso sulla gestione delle pratiche di condono edilizio, emerge il caso di alcuni proprietari, che, dopo diciotto anni dalla presentazione di un’istanza di condono edilizio, hanno visto la loro domanda di sanatoria respinta dal Comune. L’istanza, presentata nel 1986 ai sensi della legge 47/85, è stata oggetto di un lungo iter burocratico, culminato nel rigetto ufficiale il 26 giugno 2014.

I proprietari, per il tramite dei loro avvocati, hanno depositato un ricorso al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) del Lazio, insistendo sulla violazione dell’articolo 35 della legge n. 47/1985, che prevede il silenzio-assenso sull’istanza di condono edilizio dopo un termine biennale, purché la domanda sia completa e siano stati effettuati i versamenti dell’oblazione dovuta.

Il caso si complica con l’omissione da parte del Comune, che non ha comunicato immediatamente agli interessati le carenze nella documentazione iniziale, portando alla richiesta di integrazioni documentali che, secondo i ricorrenti, riguardano allegazioni tardivamente richieste e non specificamente previste dalla legge.

Questa situazione ha spinto i proprietari a invocare l’istituto del silenzio-assenso, sostenendo che i presupposti per l’applicazione dello stesso siano stati rispettati.

La giurisprudenza amministrativa, sul punto, è chiara: “Ai sensi dell’art.39, comma 4, Legge 23 dicembre 1994, n.724, il termine, spirato il quale si forma il silenzio assenso sul condono edilizio richiesto, è volto a definire nel tempo l’esercizio del potere comunale a esprimere una determinazione esplicita sull’istanza; contestualmente, mira a tutelare la posizione soggettiva degli interessati nei confronti dell’omissione da parte dell’Amministrazione; fermo restando che il Comune è titolare del potere di autotutela, mediante l’annullamento del provvedimento implicito formatosi, ove sussista la mancanza dei presupposti richiesti dalla legge.” (Consiglio di Stato, Sez. 06 sentenza num. 04330 del 27/08/2002).

Inoltre, la necessità di eventuali nulla osta non è ostativa, ove manchi il parere richiesto; infatti, vige il principio per cui “Dal combinato disposto dell’articolo 35 e dell’articolo 32, comma 1, Legge 28 febbraio 1985 n. 47, si evince che in caso di istanza di condono edilizio per opere abusive realizzate su aree sottoposte a vincolo, il silenzio-assenso decorsi ventiquattro mesi dall’emissione del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, si forma solo in caso di parere favorevole, e non anche in caso di parere negativo.” (Consiglio di Stato, Edita, Sez. 06 SENT. num. 00253 del 26/01/2001), sicché, se il parere è stato richiesto e non viene rilasciato, la sua mancanza non dovrebbe considerarsi ostativa al formarsi del silenzio assenso, in quanto il parere omesso non si considera negativo.

Inoltre, i ricorrenti lamentatano una disparità di trattamento rispetto ad altri casi simili, in cui domande di condono sono state accettate senza richiedere la documentazione supplementare pretesa dal Comune. Questa disparità si inserisce in un quadro più ampio di possibili violazioni di legge e procedurali, che includono la violazione degli articoli 35 della legge n. 47/1985 e 39 della legge n. 724/1994, nonché possibili eccessi di potere per errata istruttoria e difetti di motivazione.

Il TAR del Lazio è chiamato, all’udienza straordinaria di merito del 12 aprile 2024, a decidere su questo complesso caso.

La decisione è attesa con interesse, poiché potrebbe avere importanti ripercussioni sulla gestione delle pratiche di condono edilizio in Italia e sul rispetto dei principi di trasparenza e giustizia amministrativa.

(Avv. Carlo Affinito)