L’identità di Gesù in questione

Finché teniamo il nostro sguardo fisso su Gesù riusciamo a percorrere anche sentieri ad alto rischio, ma appena ci lasciamo catturare dai pericoli che ci stanno attorno, subito perdiamo la forza per andare avanti

Il Capocordata in montagna

Il Capocordata

Nel nostro brano (Mt. 14, 22-33) il tema dell’identità di Gesù è centrale e ne costituisce il filo conduttore, prendendo il via da un mancato riconoscimento di Gesù, scambiato per un fantasma, e proseguendo in un dialogo tra Gesù e Pietro sulla sua identità per giungere alla solenne affermazione: “davvero tu sei il Figlio di Dio” (v. 33), che chiude l’episodio.

Come nel brano della tempesta sedata, anche nel nostro brano i discepoli si trovano in una barca e in difficoltà per il vento contrario, hanno paura. Qui è soprattutto Pietro a provarla in modo particolare, e Gesù rimprovera la poca fede dei discepoli. Alla fine i discepoli riconoscono la natura divina del Signore Gesù.

E’ alquanto evidente come al cuore dei due brani si trovi il rapporto tra fede, identità di Gesù e paura che nasce dalla debolezza della fede. La differenza la fa il ruolo di Pietro, che rivela una interpretazione nella prospettiva della Chiesa, oltre che sull’identità di Gesù.

Paura e poca fede

La reazione dei discepoli alla vista di Gesù è comprensibile, essi pensano di avere una sorta di allucinazione o di vedere uno spirito. Il camminare sulle acque di Gesù viene ripetuto due volte come per sottolineare la veridicità. La sottolineatura del fatto che si tratti di un “vedere” (v. 26), dello “sconvolgimento” provocato nei discepoli, dell’invito a non aver paura, nonché l’uso dell’espressione “Io sono” (v. 27), e la conclusione costituita da una rivelazione dell’identità di Gesù, sono tutti elementi tipici più della “teofania” (manifestazione del divino) che del racconto di miracolo e proprio in questo modo va interpretato il nostro brano.

Molto importante è anche la dinamicità (l’azione in movimento) del testo: esso è costellato da verbi in movimento, anzi, più specificamente, di avvicinamento: Gesù va verso i discepoli e Pietro va verso Gesù, con la differenza che Gesù riesce a raggiungere i discepoli, alla fine del racconto, e riportare la tranquillità, Pietro invece per la sua poca fede non riesce nel suo intento e deve essere risollevato da Gesù.

Il vento, capace di spostare le cose e di far muovere il mare, è la causa e il simbolo di ciò che fa vacillare la fede, la stabilità di Pietro che quindi inizia ad affondare nel mare. Da questa situazione di pericolo fisico, ma simbolicamente anche spirituale, deve trarlo in salvo Gesù, che però non lo esonera da un rimprovero per la sua poca fede.

La fede di Pietro, come diventerà ancora più evidente più avanti, non è ancora al livello della sua intraprendenza, non è ancora tale da sopportare le difficoltà e vincere le paure: la fede è poca perché è fragile, basta un po’ di vento, basta la paura della sofferenza, la sua o del suo Maestro, perché venga meno.

La stessa parola ebraica “amen”, che nei vangeli troviamo tradotta con “in verità”, ha anche il valore di affermazione di fede e fiducia in Dio e contiene anche il significato di “resistere”: la fede è tale se è capace di resistere alle intemperie della vita. Per questo Pietro viene rimproverato: la sua fede è stata debole, e per questo ha potuto farsi spazio la paura e il dubbio.

Il riconoscimento salvifico

“Davvero tu sei Figlio di Dio” (v. 33). L’affermazione di fede finale è tanto sorprendente quanto è mancante di motivazione esplicita, perché totalmente contrapposta al rimprovero rivolto a Pietro come uomo di poca fede. Se prima si era chiaramente espresso il perché della paura, sia nel vedere il Signore camminare sul mare e sia per il vento forte, ora non si esplicita cosa abbia fatto scaturire l’affermazione di fede: il camminare sulle acque di Gesù? L’aver visto Pietro fare altrettanto? Il cessare del vento?

Questa assenza di spiegazione è funzionale al concentrare l’attenzione sul contenuto in sé, l’identità di Gesù, e costituisce la risposta a quella domanda che si erano posti alla fine dell’episodio della tempesta sedata: “Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?” (8, 27). Sono gli stessi discepoli a darsi una risposta, ma dopo molto tempo trascorso con Gesù.

Non abbiate paura

Basta poco per sentirsi perduti. Quando la nostra esistenza scorre tranquilla, ci sentiamo dei leoni e leonesse. Ma, appena la nostra salute deve fare i conti con qualche difficoltà, subito il nostro coraggio viene meno. E che dire quando ci si trova nel bel mezzo di una tempesta? Allora si rischia di sprofondare nella paura. Accade a ognuno di noi: contare solo su stessi, sulle proprie capacità e non affidarsi al Signore con la stessa fiducia di un bambino.

Finché Pietro guarda verso Gesù, riesce a camminare sulle acque. Ma, appena distoglie lo sguardo dal Signore, subito comincia a sprofondare. La stessa cosa è per noi: finché teniamo il nostro sguardo fisso su di lui riusciamo a percorrere anche sentieri ad alto rischio, ma appena ci lasciamo catturare dai pericoli che ci stanno attorno, subito perdiamo la forza per andare avanti. Finché la Chiesa si lascia condurre solo dal desiderio di essere fedele al suo Signore riesce ad attraversare anche epoche terribili, con lucidità e serenità. E’ quello che spero, oggi!

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Busia, 2023; Laurita, 2023.