Pippo Franco: “La comicità è dramma”

“E la risata è l’unica salvezza”: intervista a Pippo Franco

Dal “Drive In” ad oggi. Ma ancora prima, quando c’era Petrolini. Poi Totò. E ancora Sordi, Tognazzi, Manfredi, Gassman. Tutti loro raccontavano “un’Italia che stava cercando di recuperare e di riprendersi dalle difficoltà che la guerra s’era lasciata dietro. La loro, era una comicità che teneva in considerazione l’uomo e la sua condizione, l’uomo che doveva cercare di riscattarsi, l’uomo che aveva sofferto la fame e conosceva le difficoltà, l’uomo che doveva sopravvivere pur mantenendo la sua dignità. In tutta quella comicità, c’è la conoscenza del dramma. E secondo me la comicità non può vivere che di questo: la conoscenza del dramma”.

A parlarci di come è cambiata la comicità da ieri a oggi e di come sono cambiati i comici, ma anche i tempi che i comici raccontano, c’è Pippo Franco, ieri interprete, oggi spettatore. Pippo Franco, tra le voci della generazione di comici immediatamente successiva a quella di Sordi, Tognazzi, Manfredi, Gassman. La generazione di Montesano, e di Proietti, di quelli che si portavano dietro il ricordo della fame, ma interpretavano anche la crescita – quella economica; ma anche quella interiore, dell’uomo. “Noi – ci racconta – mettevamo l’uomo di fronte a se stesso, non abbiamo mai fatto altro”. Quasi come una catarsi – "che non è quella cosa che te fa starnutì", ci dice. La catarsi, che invece lo libera, l'uomo; o, almeno, lo aiuta ad esorcizzare il dramma di cui il comico si fa interprete e portavoce.

“La comicità, sotto un certo profilo è rimasta la stessa – ci spiega Pippo – Con questo voglio dire che i meccanismi sono sempre gli stessi: la comicità è ancora fatta di sintesi e di realtà improvvisa, risponde sempre alle stesse regole, vuole smantellare i luoghi comuni, uscire dagli schemi, fare caricature della realtà”.
Ciò che invece è cambiato, è il contenuto della comicità: “Oggi del dramma non si fa parola – continua – Si fa comicità sulle incongruenze e sui paradossi, sulle assurdità. È una comicità superficiale, che non analizza l’interiorità dell’uomo. Sembra di assistere ad un modo di fare comicità che è diventata espressione di come si è incapaci di fronte a un mondo che cambia, come le tecnologie sempre più nuove. Ma anche i rapporti tra le persone sono cambiati, prima si credeva nell’amore eterno; adesso, si dà per scontato che l’amore eterno non esista più”. L’amore è eterno finché dura, per dirla con Verdone.

C’è forse troppa politica nella comicità oggi? “La satira è inevitabile – dice ancora – Soprattutto perché i politici sono molto più comici di noi comici. Riescono perfino a smentire ciò che ancora non hanno detto. La differenza sta sempre lì: la satira politica c’è chi la fa e chi non la fa. E anche questo, c’è chi lo fa guardando all’uomo, parlando di un uomo che deve recuperare se stesso, e chi invece lo fa in modo superficiale”.

Ma il comico, per raccontare il dramma, deve averlo vissuto, e deve aver trovato se stesso prima di raccontarlo al pubblico.
“Solo così, può aiutare a superare il dramma, non certo parlando di cose superficiali. Non dico – continua – che i comici di oggi non facciano ridere, alcuni anzi sono molto bravi e io li ammiro, ma dell’uomo che si guarda dentro non se ne parla mai. Ci sono dei drammi in questa società che il comico di oggi non interpreta. L’uomo è diventato un numero, la pedina di un profitto, un codice fiscale, un essere-non-umano che non deve pensare, non deve avere desideri se non quelli imposti dalle pubblicità, che comandano le menti, e poi questo essere-non-umano deve morire senza contare nulla: ecco il dramma di oggi”.

Ma la risata può ancora salvarci? “Io credo che sia l’unica salvezza. La risata, il senso dell’umorismo, obbligano l’uomo a guardarsi dall’esterno. Quando l’uomo comincia a guardarsi da fuori, allora si vede bene dentro, e corregge i suoi difetti. Ma, soprattutto, capisce a quale dramma sta andando incontro. E può affrontarlo, e salvarsi”.

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