Pronto soccorso, risolviamo il sovraffollamento con i medici di base

Realizzare strutture territoriali che raggruppino un gruppo di medici di base e nel contempo siano dotate di una presenza infermieristica

Pronto Soccorso

Pronto Soccorso (Immagine di repertorio)

Per chi lavora da molti anni nei Pronto Soccorso il dibattito sul loro sovraffollamento, che periodicamente si ripresenta con gli stessi argomenti è divenuto un po’ noioso. Le frasi sono sempre le stesse (accessi impropri, i medici di medicina generale devono lavorare di più, le case della salute vanno istituite e via dicendo) che restano quasi sempre lettera morta fino al successivo, puntuale “scandalo”. Negli ultimi anni si è avuto un notevole cambiamento nelle necessità dell’utenza in Pronto Soccorso sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. E’ un fenomeno complesso generato da diversi motivi:

Lo sviluppo della scienza e della tecnologia, l’uso divulgativo che ne fanno i media, un diffuso diverso concetto di salute e la coscienza dei cittadini dei propri diritti. E’ certo che ora, e nel prossimo futuro, un trauma minore non può essere valutato, nella stragrande maggioranza dei casi, senza un esame radiologico dell’arto o articolazione colpiti; un dolore toracico ,anche atipico, deve essere diagnosticato con un periodo di osservazione prolungato; un dolore addominale va esplorato con indagini per immagini. Nessuno rinuncia più a certi atteggiamenti clinici . Ricordo bene quando questi comportamenti non erano presenti e per un dolore toracico si andava all’ambulatorio del medico curante che poi richiedeva un elettrocardiogramma o si fissava una visita specialistica cardiologica. Ricordo l’attesa della visita chirurgica come unico giudizio “insindacabile” della natura del dolore addominale con la relativa decisione di operare o meno. Tempi che, fortunatamente, sono stati superati.

Abbiamo fatto una campagna incisiva perché determinate situazioni cliniche (dolore toracico, ictus) venissero all’osservazione dei PS e, con ogni probabilità, ne faremo delle altre . E’ difficile sostenere che non siano giuste rispetto a quegli obbiettivi, anche se l’effetto trascinamento che comportavano non è stato mai fino in fondo considerato e cioè la sensazione che in PS si è curati più rapidamente e meglio che dal curante
Il problema principale dei PS è costituito dai pazienti che hanno bisogno di ricovero in urgenza, ma. non mi riferisco a quelli con infarto acuto del miocardio, la pancreatite acuta o il politrauma, ma al numero progressivamente crescente dei pazienti anziani affetti da patologie croniche che vanno incontro a riacutizzazioni. I casi minori di tipo traumatologico difficilmente saranno stornabili dai PS per i motivi sopraccennati, unitamente alla possibilità di consulenze ortopediche nei casi anche con soli dubbi diagnostici

Uscendo dal nostro perimetro affollato si ha però la netta sensazione che i problemi del PS siano principalmente problemi di sistema e che, se non riusciamo a trovare una soluzione complessiva e coordinata, staremo sempre a lamentarci. Per entrare nell’argomento, partirei con un caso tratto da una lettera di un paziente ad un giornale; il sig Rossi pensionato di 75 anni, aveva una diarrea da circa 3 giorni con almeno 8-9 scariche al giorno, ma si curava su consiglio telefonico del curante con un farmaco di banco e una dieta, quel venerdì alle 16 invece stava proprio male e chiamò nuovamente il suo medico per sapere cosa fare, non avendolo trovato e sentendosi svenire, si fece portare al P.S. .

Essendo stato etichettato come codice verde, dopo un’attesa di circa 3 ore fu visitato e sottoposto a terapia con fleboclisi e in barella messo in uno stanzone insieme a circa 35 persone di sesso misto attaccati o quasi l’uno all’altro. Dopo circa 30 minuti la diarrea si fece nuovamente sentire, voleva alzarsi per andare in bagno ma non riusciva a farlo per la vicinanza di barelle, chiamò ripetutamente un infermiere che era impegnato con altri malati e purtroppo si “cagò addosso”, davanti a tutti. Il sig Rossi piangeva come un bambino per l’umiliazione subìta, per gli sguardi dei vicini e finalmente il figlio lo portò via ancora sporco di feci, ricoverandolo in una struttura privata. In questo caso sono concentrate tutti o quasi tutti i problemi dei Pronto soccorso, che analizziamo in seguito e che non riguardano solo il PS. Ma tutta l’organizzazione del soccorso extra ed intra ospedaliera.

Sono tre i punti fondamentali da considerare: Prima dell’ospedale, allo scopo di rispondere ai bisogni necessari al di fuori dell’ospedale e ridurre pertanto l’afflusso e aumentare l’appropriatezza degli accessi al pronto soccorso. All’interno del pronto soccorso: selezionare in modo adeguato le problematiche in modo da indirizzare il paziente nel percorso idoneo e rendere così più fluidi i percorsi. A valle del pronto soccorso: assicurare un adeguato flusso verso i reparti di degenza per quei pazienti che, a seconda della tipologia di PS oscillano fra il 15% e il 20% degli accessi e che necessitano di ricovero. Per ciascuno di questi “comparti”, vi sono politiche sanitarie e strategie gestionali efficaci, ma non è possibile che il sistema funzioni, se non si agisce, contestualmente, su tutti e tre i punti.

Se si interviene prevalentemente o solo, come si sta facendo, sul pronto soccorso, si realizzeranno strutture adeguate dal punto di vista ambientale, si amplierà e ristrutturerà la diagnostica per immagini con un’area dedicata ai pazienti in urgenza, si attueranno sistemi efficienti di trattamento dei pazienti, con la conseguenza che le prestazioni, erogate dal PS saranno più adeguate e attuate più celermente, ma il collo di bottiglia, rappresentato dalla capacità di “assorbire” pazienti dai reparti resterà immodificato. I malati in attesa di ricovero resteranno per lungo tempo in barella, ammassati in una area di osservazione che ricorda molto la vecchia astanteria dove diventa problematico proseguire le terapie del caso e trasformando il P.S. in un reparto di degenza competamente inadeguato o “appoggiati” in reparti non di loro competenza con aumento del rischio di episodi di malasanità ed ostacolando nel frattempo il corretto funzionameno di quei reparti.

Contestualmente, non affrontando la situazione a monte, cioè l’offerta territoriale, si aumenteranno gli accessi ai pronto soccorso, reso ancora più attrattivo e funzionale (un “ospedale nell’ospedale”), unico luogo sempre aperto e  dotato di adeguate risorse per dare una qualche risposta. Quali sono, in sintesi, le possibili strategie di intervento. A monte del Pronto Soccorso è necessario realizzare alternative che non consentano di assicurare a un medico del servizio sanitario – quali sono i medici curanti – 52 o 53 week end, con inizio il venerdì alle 20 (se va bene) e fine il Lunedì mattina, oltre a ferie e altre festività non a caso i fine settimana sono quelli dove si riscontra un aumento significativo di accessi. Una organizzazione che escluda a priori la attività di tutti i medici di base nel fine settimana è del tutto anacronistica.

Non bisogna però addossare ai medici di base tutta la responsabilità; nel pensiero della grande maggioranza dei cittadini, si è ormai formata la convinzione (non sta a me giudicare se giusta o meno) che il medico di base non è altro che un prescrittore di farmaci, analisi e certificati di malattia. Se ci si limitasse a questo, tuttavia, si intercetterebbe una fascia minimale dei casi che si rivolgono, impropriamente, al pronto soccorso e si rischierebbe solo di ampliare gli orari utili per… farsi misurare la pressione, ritirare una ricetta, farsi prescrivere le analisi raccomandate dallo specialista. La chiave di volta è realizzare strutture territoriali che raggruppino un consistente numero di medici di base, ma che nel contempo siano dotate di una presenza infermieristica, siano in grado di effettuare alcuni esami, siano equipaggiate di strutture diagnostiche, siano connesse con l’ospedale al fine di trasmettere immagini, ecg e avere una refertazione e una consulenza (Case della salute).

Vi è ormai, anche qui, un’ampia letteratura e vari confronti internazionali, evidenziano come investimenti in tal senso, riescono a ridurre gli afflussi al pronto soccorso e a diminuire la ospedalizzazione, grazie anche alla capacità di prevenire – con una adeguata gestione delle cronicità – il ripetersi di episodi acuti che portano al ricovero. A valle del pronto soccorso è indispensabile far si che il flusso dei pazienti sia continuo, con i necessari provvedimenti di riorganizzazione della attività di degenza, aggregando i pazienti in aree omogenee, per utilizzare al meglio le disponibilità di posti letto (in alcuni ospedali è presente la figura del ”bed manager") che però diminuisce costantemente. È inoltre necessario che il flusso delle attività non si interrompa, di fatto, dal venerdì, ma che – almeno il sabato e non il lunedi – sia giornata  di “ordinarie dimissioni”. Ciò vuol dire non solo ripensare all’organizzazione dei reparti di degenza, ma anche al sistema esterno: case di cura convenzionate, trasporti in ambulanza, attivazione dell’assistenza domiciliare.  

Inoltre, se i reparti devono funzionare per accogliere i pazienti in urgenza e per effettuare una attività di high care, come è previsto negli ospedali dotati di pronto soccorso, è indispensabile un potenziamento del sistema di cure intermedie, in cui collocare quei pazienti che necessitano di un livello assistenziale inferiore, ma che non possono essere indirizzati direttamente a domicilio. Infine nel PS è necessario agire sul personale medico e infermieristico (formazione, aggiornamento,organici). Da quando sono stati istituiti i “crediti” in nessun caso si è mai provveduto ad un controllo, ci si è affidati alla buona volontà del personale con il risultato che molti medici ed infermieri, da anni non frequentano un aggiornamento.

Sono stato invitato ad un congresso a parlare di formazione, era , la mia, la prima relazione dopo il pranzo, avevo preparato un bel discorso, ma temendo che tutti si addormentassero, ho chiesto ai presenti (primari, direttori sanitari) di alzare una mano se mai avessero controllato il numero e la qualità dei crediti dei loro collaboratori,nessuno  lo ha fatto; allora li ho salutat idicendo che in quel caso era inutile continuare il discorso e me ne son andato! Per quanto riguarda gli organici sono ormai scomparsi i giovani medici ed i giovani infermieri per cui ci troviamo ad operare con personale datato esperto ma che non regge l’aumento esponenziale dei ritmi di lavoro con conseguente calo della qualità.

Infine ,un discorso a parte lo merita la “medicina difensiva” che secondo il mio parere è una delle cause più importanti delle difficoltà della sanità. Alcuni dati forniti dall’AGENAS nel 2014ci fanno luce sulle dimensioni del problema; il 78%dei medici ha usato pratiche di medicina difensiva e tra i medici più giovani si è giunti al 92%, infine il 70% ha proposto il ricovero anche se non lo riteneva indispensabile. Ricordo poi che la commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari, ha valutato intorno ai 10 miliardi di euro il costo della medicina difensiva. Oggi il medico spesso non cura il malato, ma si difende preventivamente da una sua possibile denuncia, mettendo in atto una indiscriminata prescrizione di indagini e terapie con il risultato di intasare i reparti di degenza ed i PS di pazienti in attesa di indagini che nella maggioranza dei casi sono nella norma (85% circa), di ritardare dimissioni, interventi chirurgici fatti solo in ospedali dotati di rianimazione o non effettuati perché ad alto rischio.

Ritengo che la soluzione di questo problema sia molto semplice: consentire al medico in caso di assoluzione, il diritto di rivalsa, sia verso il singolo ma anche verso quel gran numero di associazioni, avvocati etc etc, che promettono risarcimenti a costo zero e senza alcun rischio.

 

* Dott. Andrea Mattei, medico veterano di Pronto Soccorso

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