Religione, il comandamento di Dio e la tradizione degli uomini

di Il capocordata

Il brano evangelico  (Mc. 7, 1-23) di questa domenica è incentrato sul tema della purità, a sua volta strettamente collegato con la problematica del valore della tradizione degli antichi. Il brano si sviluppa in due grandi parti, che inquadrano la solenne affermazione di Gesù alla folla che egli ha radunato: “Ascoltatemi tutti e comprendete bene…” (v. 14).

Tradizione o Comandamento?

La prima parte viene introdotta dalla domanda dei farisei e scribi venuti da Gerusalemme, a cui Gesù dà una prima e poi una seconda risposta, incentrata sul problema del rapporto tra osservanza del comandamento di Dio e valore della tradizione che interpreta il comandamento. “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?” (v. 5).

All’implicita accusa nascosta nella domanda (“Non osservando la tradizione, tu non osservi il comandamento”), Gesù risponde citando un caso in cui, al contrario, la tradizione non realizzava ma vanificava il comandamento (cfr. vv. 10-13). Così facendo rimette il problema nella giusta prospettiva: ogni tradizione deve aprirsi allo spirito del comandamento, deve cogliere l’intenzione del legislatore.

L’affermazione posta al centro del brano, “Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro” (vv. 15.21), nel suo genere di sentenza di valore universale suscita interrogativi e richieste di spiegazione. Questo è quanto fanno i discepoli nella seconda parte del brano, provocando prima il rimprovero, poi l’ulteriore istruzione da parte del Maestro (vv. 18-19).

Nell’intimo dell’uomo è la radice di ogni desiderio

Occorre notare innanzitutto che l’affermazione di Gesù riguarda l’uomo in quanto tale, raggiungendo una dimensione universale: sotto tutti i cieli e malgrado le precauzioni di ogni cultura e tradizione c’è qualcosa che, uscendo dall’uomo, lo rende impuro. Con questa affermazione Gesù prende posizione nel dibattito a lui contemporaneo: contro alcuni che negavano l’esistenza di cose realmente impure egli afferma che qualcosa di sostanzialmente impuro e contaminante esiste davvero, agisce misteriosamente nell’uomo dal suo interno e gli fa compiere atti che lo contaminano. In altre occasioni aveva già mostrato di avere la potenza di purificare persone contaminate, possedute da uno spirito impuro.

Nello stesso tempo non ne dà una definizione; al contrario ne offre una fenomenologia molto concreta elencando 12 propositi di male che escono dall’uomo e lo contaminano: “dal cuore degli uomini escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza” (vv. 21-22).

Analogamente all’adulterio del cuore (Mt. 5, 28), Gesù condanna le intenzioni del cuore, identificando così sostanzialmente l’uomo in quell’unità che ha come suo centro sorgivo l’intima intenzione del cuore. Così  facendo Gesù pone nell’intimo dell’uomo, di ogni uomo, il luogo dove il buon seme può germogliare o venire sopraffatto dalla zizzania, offrendo la chiave interpretativa dei gesti esterni, codificati nelle varie tradizioni culturali, che segnalano la presenza di tale problema e tentano senza successo di risolverlo.

Se la domanda sull’origine ultima dell’impurità rimane in questo brano inevasa, la via che Gesù offre per esserne liberati è sostanzialmente chiara e consiste, come più volte viene narrato nel vangelo, nel lasciarsi toccare da lui. E’ un problema di vicinanza e di contatto: contatto che l’uomo deve accogliere, accettando che il dono sia sempre più grande, inimmaginato e sorprendente, contatto che deve essere cercato nell’ascolto obbediente e nell’invocazione.

Alla luce della presenza di Cristo, se niente di ciò che entra nell’uomo lo contamina, è perché tutto ciò che gli è dato viene dal Padre delle luci e lo santifica, insegnandogli la via della beatitudine. Occorre però non aggiungere e né togliere niente al dono perfetto, occorre lasciare che sia Cristo con il suo Spirito a far uscire dal punto sorgivo del cuore la vita secondo la Parola.

La purificazione esteriore, quella delle mani e degli oggetti, ha valore se è segno di un cuore che si lascia trasformare e purificare. Gesù insegna che gli ostacoli al nostro incontro con Dio non vengono prevalentemente dal di fuori, non sono esterni, non vengono dalle cose, ma dal di dentro, dal nostro cuore. Dal nostro cuore, chiuso o aperto, escono i propositi di male, le cose cattive che rendono impuro l’uomo. E invece, incolpiamo sempre gli altri del nostro cattivo comportamento: sono gli altri che mi fanno perdere la fede, non il mio cuore freddo e insensibile alle meraviglie e ai doni che Dio dispensa a tutti; è il cattivo esempio di chi ci sta attorno a giustificare le nostre scelte sbagliate e lontane dall’amore di Dio e dalla solidarietà col fratello. E’ lo scaricabarile iniziale: Adamo incolpa Eva, la quale incolpa il Serpente, e il povero diavolo se la prende in ultimo con Dio!

“Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me” (v. 6). Il cuore, la sede delle decisioni personali, della volontà di ognuno e delle nostre emozioni. Da un cuore “buono” esce il bene, da un cuore “malvagio” invece tutto il male. “Và dove ti porta il cuore”, era il titolo di un famoso romanzo di qualche anno fa. Si, ma quale cuore? Certamente quel cuore libero, disponibile a lasciarsi plasmare dallo Spirito e accogliere la Parola di Dio per essere capaci di abbracciare amorevolmente il prossimo con quell’amore sperimentato da Dio verso di noi.            

Bibliografia consultata: Tosolini , 2018; Lameri, 2018.        

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