Rieti, in memoria di un’amica. L’altra verità sulla morte di Lidia Nobili

Lidia Nobili è morta improvvisamente, da vice presidente del consiglio comunale di Rieti. Causa del decesso: emorragia cerebrale. Sbagliato!

Lidia Nobili

Lidia Nobili

In memoria di Lidia Nobili. Nella vita di ognuno spesso si attraversano momenti di impotenza e di ansia provocati da conflitti interpersonali o da difficoltà lavorative o sociali che inducono stati di sofferenza e disagio.

Lidia Nobili, le conseguenze di un dolore

Sono molti gli studi scientifici che associano questi “tipi di stress” e depressione all’emorragia cerebrale. Ne aumentano il rischio di quasi 5 volte, soprattutto nei soggetti di età medio-avanzata, e secondo il principio di causa-effetto, ne diventano inevitabile causa di morte.

Mentre gli eruditi referti medici descrivono in maniera sintetica e scarna le modalità dell’evento conclusivo della nostra esistenza, per l’essere umano, alla ricerca continua di dare un senso alla propria esistenza, la morte di una persona a noi nota o vicina, fornisce un intimo spunto di riflessione.

Soprattutto, la modalità della sua sopravvenienza, molto spesso ci racconta la storia dell’anima di chi la subisce.

Il “Virus” ben noto del sistema giudiziario

Lidia Nobili è morta improvvisamente, solo pochi giorni fa, da vice presidente del consiglio comunale della sua città, Rieti. Causa del decesso: emorragia cerebrale.

Sbagliato.

Lidia Nobili è morta pochi giorni fa, dopo una lunga ed estenuante malattia, da donna impegnata in politica al servizio perenne della gente della sua città, Rieti. Causa del decesso: stress post traumatico da “sistema giudiziario italiano”.

L’esito dell’immaginaria autopsia non ha lasciato dubbi. I segni riscontrati nell’anima sono quelli tipici dell’ormai noto (e ben testato negli esseri umani) “virus” che, inizialmente con grande e invasivo clamore e poi in modo subdolo e silente, favorito dall’habitat della politica e dagli agenti patogeni d’origine giudiziaria, si insinua nella persona per bene.

Questa, quando viene inopinatamente coinvolta nella lotta estenuante contro il potente “male”, combatte tutti i sintomi attraverso una terapia d’urto iniziale che la costringe ad abbandonare tutte le proprie attività per numerosi anni e difendersi durante complicate udienze processuali e attraverso un’interminabile “vigile attesa”.

Gli effetti collaterali della cura

Per quanto “clinicamente guarita” (una sentenza di piena assoluzione l’aveva liberata dal male delle accuse di truffa aggravata ai danni dello Stato), gli effetti collaterali prodotti dai lunghi anni dell’iter processuale, unitamente a quelli della “chemioterapia sociale” fatta di isolamento e interruzione forzata dei rapporti elettorali con i propri sostenitori, hanno fatalmente deciso che Lidia Nobili lasciasse la vita che aveva sempre amato, questa volta per sempre.

Ogni fenomeno terreno ha le sue stagioni. Ogni fase storica produce cambiamenti. Ogni forma di potere evolve sé stessa attraverso lo scambio obbligato tra chi la esercita e coloro che la accolgono o la subiscono.

Il potere giudiziario NO.

L’imperfezione perfetta del sistema giudiziario

Unico “sistema” che, voluto dall’uomo, è stato dallo stesso (almeno nella terra che ha inventato il Diritto) reso incontrollabile, ingiudicabile, incondannabile, inattaccabile, eppure così tremendamente “politikòs”.

Per essere uno strumento creato dall’uomo per proteggere i diritti di ogni cittadino da ogni abuso, il sistema della giustizia italiana sempre di più sembra essere governato da un algoritmo informatico che ne ha preso il controllo.

L’impossibilità umana di renderlo perfetto, produce i danni più gravi della sua imperfezione sempre e solo ai danni degli incolpevoli.

Soprattutto in Italia, essere sottoposti ad un’indagine penale, andare sotto processo e vedersi poi assolti dal reato contestato (dopo interminabili anni) per non aver commesso il fatto, è già di per sé un’ingiusta condanna oltre che un’insana “preventiva” pena.

Un grave “errore di sistema” che emette la sentenza, a volte a mortale, nel momento stesso che si viene iscritti nel registro degli indagati.

La differenza di tra chi è un “criminale” e chi una persona per bene sta proprio nella percezione e nella conseguenza esistenziale causate fin dai primi passi di un procedimento giudiziario.

Per questo, a maggior ragione in un sistema accusatorio come il nostro, solo i migliori elementi di tale potere dovrebbero occuparsi, fin dalle prime fasi, di una qualunque indagine giudiziaria, maneggiando con massima cura e competenza gli strumenti umani e materiali messi a disposizione per tale scopo, ricordandosi che si sta decidendo, con facoltà “divinatoria” del destino di una persona!

L’applicazione del pensiero “liberal”

Lidia Nobili è stata una cara amica. Nella mia permanenza a Rieti tra la fine degli anni 90 e i primi del 2000, con il suo entusiasmo mi ha saputo coinvolgere nei suoi progetti politici, spesso confrontandoci ognuno con le diverse esperienze di vita politica e professionale.

Il nostro era un rapporto giornaliero, continuo e ricco di progetti.

Lidia era una vera “liberal”, nella ferma convinzione di fondatrice di Forza Italia, capace di essere sé stessa, sempre.

Personaggio solare, atipico per la nebbiosa Rieti, perfettamente in tono con la sua Miami, dove amava trascorrere brevi vacanze (ma continuamente al telefono a occuparsi della sua città), Lidia Nobili, apparentemente quasi fuori contesto rispetto alla introversa città nel centro dell’Italia, era in realtà pervasa da un senso di appartenenza civica fuori dal comune che traspariva in ogni occasione.

Senza mai doversi ipocritamente “mimetizzare” con l’utilizzo di strumentale di “panni” diversi dalla sua personalità, riusciva ad accogliere con convinzione le istanze delle persone, anche le più umili.

L’accompagnai fattivamente nella sua ascesa politica fin quasi alle regionali, quando le nostre strade si divisero per via dei miei impegni familiari e lavorativi che mi portarono all’estero prima e successivamente a Roma.

Forte della mia esperienza nelle stanze del potere sbardelliano durante gli ultimi anni della Prima Repubblica, l’avevo messa in guardia su alcune “peculiarità” determinate dal nuovo corso tracciato con Mani Pulite, per quanto non avrei mai potuto prevedere quanto il “destino” le stesse per riservare.

Le distorsioni del sistema giustizia

L’ultima volta che ho incontrato Lidia risale a sei anni fa, casualmente, nella palestra che frequentava, in uno dei miei sporadici rientri nella città che fu di Terenzio Varrone. Ricordo che, troppo superficialmente, rimasi male della sua “tiepida accoglienza” nel rivedere un vecchio amico.

Pensai che non mi avesse mai perdonato la scelta di qualche anno prima che aveva diviso le nostre strade.

Parlammo per alcuni minuti, non di politica. Si informò di mia figlia e del mio lavoro, nulla di più.

I suoi colori come il suo sorriso erano spenti, gli occhi stanchi e provati. Negli anni della nostra assidua frequentazione non l’avevo mai vista così depressa, così “isolata”.

Non ebbi il coraggio di chiederle delle sue vicissitudini giudiziarie legate allo “scandalo della Regione Lazio”. Sbagliai. Solo oggi sento di non aver fatto o detto quanto, se pur non utilmente, avrei potuto fare o dire.

E forse, molti altri ancor prima e meglio di me, avrebbero potuto fare o dire di più, denunciando con maggior coraggio le distorsioni, spesso intenzionali, all’interno del “potentato giudiziario” nazionale.

Credo che alla fine, pur avendo lottato come una leonessa, pur avendo raggiunto una piena vittoria con la “beffarda” assoluzione di circa due anni fa (festeggiata con manifesti celebrativi, la cui eco mi aveva raggiunto e regalato un sorriso di cauta soddisfazione), la preoccupazione accumulata nei grigi anni del processo le sia stata letale.

Credo che questa insana pressione, spesso troppo compressa, non potendo trovare il giusto sbocco, sia esplosa rompendo le pareti troppo sollecitate e provate della sua mente e quindi della sua anima.

I mille volti “scomparsi” di Rieti

Da alcuni anni, per me, Rieti, è diventata un po’ come la città di origine di quegli emigrati che ormai trasferitisi all’estero, tornano raramente a casa, magari soltanto una volta o due l’anno, per Natale o Ferragosto.

Di anno in anno, si fa sempre più fatica a riconoscere i volti delle persone o a ricordare quei luoghi, sebbene immobili ed in perenne attesa di uno sviluppo che non è mai arrivato.

Sempre più distrattamente si cercano le facce amiche nei bar della colazione o dell’aperitivo, ed ogni volta se ne trovano sempre di meno.

Sicuramente, da oggi farà più male non trovare più il volto luminoso di Lidia, sapere di non poterla più incrociare, inconfondibile nella Piazza del Comune. E’ strano non poterla più sentir parlare della politica per la sua gente.

E’ insolito pensare che non possa più fare progetti futuri di una vita ancora tutta da spendere per una città tanto diversa dal proprio essere quanto compenetrata nella sua vita di donna forte e determinata.

La politica secondo Lidia Nobili

La politica secondo Lidia è stato un tutt’uno con la sua esistenza, un impegno totalizzante e senza soluzione di continuità. Leale, sempre politicamente e umanamente corretta, ambiziosa senza invadenza, instancabile, altruista.

Lascia per questo un’eredità senza eredi, quasi a voler emulare il suo amatissimo e indiscusso leader Silvio Berlusconi.

Unico neo: essere parte di una comunità con un bacino elettorale troppo ristretto e quindi troppo poco attenzionato dall’emisfero che conta. Ma di questo Lidia Nobili non si era mai lagnata, anzi, riteneva che l’essere parte di una siffatta comunità, in un territorio difficile e “introverso” come la frastagliata provincia reatina, fosse il suo valore aggiunto.

Lo stimolo vitale per impegnarsi sempre di più.

Mi piace pensare che, almeno da oggi, il luogo in cui Lidia si trova, sarà certamente più colorato e luminoso, mentre quei luoghi dove Lidia ha vissuto, senza la sua felice e fulgida presenza resteranno più scuri nell’ombra terrena dei ricordi.

Forza Lidia.

Antonio Augello