Spiagge “regalate” ai privati. La denuncia WWF: andrà ancora peggio

L’Associazione lancia un doppio allarme: vogliono prorogare le concessioni esistenti e addirittura darne delle altre

Vecchia questione, quella degli stabilimenti balneari. Un classico pasticcio all’italiana in cui si sono mescolati errori, omissioni e favoritismi di ogni sorta. Un groviglio quasi inestricabile in cui i torti e le ragioni tendono a confondersi. Ma in cui tutto discende da due elementi che sono indubbiamente sbagliati.

Il primo è che le concessioni, a forza di rinnovi pressoché automatici, si sono via via trasformate in una specie di proprietà di fatto: i titolari hanno fatto investimenti anche cospicui, nel presupposto di esserne ripagati nel tempo, e si lamentano a gran voce dei danni che subirebbero in caso di revoca delle autorizzazioni ottenute in precedenza. Dimenticando però, o facendo finta di dimenticare, che sono loro ad aver forzato la mano, comportandosi da proprietari definitivi anziché da gestori temporanei. Non solo i rinnovi non sono un atto dovuto, quali che siano le spese sostenute dai concessionari, ma in linea di principio è vero proprio l’opposto: il ricambio dovrebbe essere la regola. Visto che si tratta pur sempre di beni pubblici che rimangono tali e non di feudi assegnati al cortigiano di turno.

Il secondo sbaglio, inaccettabile, è che di concessioni se ne sono date troppe. Come ricorda il WWF, citando i dati forniti dal gruppo di ricerca dell'Università dell'Aquila Bernardino Romano, “sono solo 1860 km i tratti lineari di costa più lunghi di 5 km del nostro Paese (isole comprese) ancora liberi e con un buon grado di naturalità (il 23% dei nostri litorali, su complessivi 8000 km circa)”.

Le spiagge sono del demanio: non dei privati

In pratica, beni di proprietà pubblica che sono stati sottratti al godimento generale. Quando parliamo di spiagge, infatti, parliamo di qualcosa che in nessun caso può essere ceduto in pianta stabile ai privati, mascherando quella continuità sotto le apparenze di una serie di atti amministrativi distinti. Come si legge in una sentenza della Cassazione, la n. 15598 del 9 luglio 2014, “Non c’è alcun dubbio che il lido del mare e la spiaggia facciano parte del demanio pubblico, in quanto lo prevede espressamente l’art. 822 c.c., nonché l’art. 28 del Codice della Navigazione. L’art. 823 c.c. prevede che i suddetti beni sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore dei terzi, al di fuori dei casi stabiliti dalle leggi speciali”.

Tuttavia, invece di cambiare direzione si persiste nell’abuso. Anzi: ci si prepara ad ampliarlo.

Detto con le parole del WWF, “Si rafforza e si estende la privatizzazione delle spiagge italiane. Con i due emendamenti al disegno di legge di bilancio 2019, proposti dalla maggioranza in Senato, non solo si consolida la permanenza sino al 2020 di strutture amovibili sui nostri litorali e si prorogano di fatto, per un massimo di 25 anni, le concessioni demaniali degli stabilimenti balneari”.

Sarà il caso che ognuno di noi se lo pianti in testa: le spiagge non sono proprietà dei gestori, ma appartengono per definizione a ciascuno di noi cittadini. E per ristabilire questo sacrosanto principio c’è un metodo elementare, ma concreto ed efficacissimo: ìalternare uno stabilimento balneare e uno spazio totalmente pubblico, quantomeno della stessa estensione, che sia tenuto pulito e fornito di docce.

L’essenziale va garantito a tutti e a costo zero. Se poi qualcuno vuole andare a "fare il ganzo" sui maxi scivoli o a bordo piscina, giusto che se lo paghi di tasca sua.

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