Teatrosophia, “Diario licenzioso di una cameriera” nella Belle Epoque parigina

“Diario licenzioso di una cameriera” racconta le contraddizioni e le depravazioni della Belle Epoque parigina

A teatro "Diario licenzioso di una cameriera"

A teatro "Diario licenzioso di una cameriera"

Andrà in scena a Roma, al Teatrosophia, dall’11 al 13 novembre, si intitola “Diario licenzioso di una cameriera” e racconta le contraddizioni e le depravazioni della Belle Epoque parigina. E’ uno spettacolo brillante e spregiudicato, che miscelando ironia e note amare come si fa con certi cocktail, scava nelle dinamiche più oscure di un’umanità apparentemente privilegiata e ne mette alla berlina vizi e ossessioni.

La storia è tratta dal romanzo di Octave Mirabeau, “Journal d’un femme de chambre”, è diretto da Gianni de Feo, che ne ha curato anche l’adattamento, e interpretato da Giovanna Lombardi, che nei panni di Célestine, è la voce narrante della vicenda. Oggi l’abbiamo intervistata, chiedendole vizi e virtù della pièce e del suo personaggio.

Giovanna, il suo personaggio è una sorta di icona della Belle Epoque, ma porta in scena tematiche ancora oggi di grande attualità. Quanto c’è di “antico” e quanto di “contemporaneo” in questa Célestine?

E’ vero, il testo è antico perché risale alla fine dell’800 e che già di per sé ha una narrativa datata, costruita attraverso un linguaggio lezioso e baroccheggiante; cosa che, anche a livello mnemonico, per me è stato particolarmente difficile. Ma le tematiche che affronta, benché sia immerso nella Parigi ottocentesca, risultano ancora molto attuali, perché ricalcano l’oggi. E quindi, nonostante l’impostazione sia classica, Célestine è un personaggio con una certa verve, trasgressiva, che risulta essere anche molto moderno, proprio perché, come dicevamo, le tematiche sono le stesse che riempiono le moderne cronache: si parla di pedofilia, di stupro, di violenza sulle donne e sui deboli.

Célestine è un connubio tra antico e moderno, unite in un’armonia di musica e gestualità, ma anche di irruenza, di contestazione. Non è volgare né fuori luogo però: è tutto molto raffinato e rappresenta alla perfezione il mio percorso, partito dal Teatro dell’Orologio con Mario Moretti, che ha ripreso tutti i testi classici rivisitandoli in maniera provocatoria.

Stiamo parlando di una figura al contempo forte e fragile, decisa e delicata: come si prepara per interpretare un ruolo come questo?

Pescando e scavando nel mio vissuto e nel mio passato, nei miei amori mancati e nei lutti, nelle situazioni vissute da ragazza, nei momenti di difficoltà economica. Il serbatoio è immenso: ogni attore prima di andare in scena si prepara guardandosi attorno, osservando tutto ciò che lo circonda, ripercorrendo situazioni e storie di vita vissuta.

Com’è questo testo “Diario licenzioso di una cameriera”, rispetto ad altri che ha portato in scena in precedenza?

E’ difficile e complicato, anche perché la tematica stessa è molto particolare: è morboso, pretenzioso intellettualmente. Vengo da “Love’s Kamikaze”, un testo di Mario Moretti portato in tournee lo scorso anno – una sorta di Romeo e Gulietta dei nostri tempi, che finisce con l’esplosione dei protagonisti -. Ma questo testo è ancora più forte, più difficile: questo è uno spaccato di vita che, se vogliamo, ha anche un lieto fine. Ma non aggiungo altro, non voglio spoilerare nulla.

Ci racconta qualche aneddoto?

Quando lessi il testo per la prima volta rimasi un po’ interdetta, all’inizio non volevo farlo e – in tutta onestà – lasciai le prove per la morbosità del testo e per le tematiche molto forti. Poi dopo la morte di Mario (Moretti, ndr) decisi di riprenderlo in mano. Cercai a lungo un regista che volesse teatralizzarlo e quando lo trovai coronai il sogno di Mario e anche il mio: ho sempre desiderato essere diretta da Gianni (De Feo il regista, ndr). Ora il testo è un vero e proprio capolavoro, mistico e spirituale, che parla di morte, di depravazione, ma che allo stesso tempo è un inno alla vita.

Siamo appena usciti dalle restrizioni legate alla pandemia, che hanno pesato duramente sul settore dello spettacolo. Come sta andando adesso?

Personalmente non mi sono mai fermata, se non proprio nel periodo del lockdown. Uno dei primi spettacoli che portai in scena, nell’era covid e nonostante le grandi difficoltà, fu “Love’s kamikaze”: ricordo ancora la paura che avevamo salendo sul palco e sentivamo che anche il pubblico ne aveva tanta. Ma nonostante questo non ci siamo mai fermati, mai: abbiamo sempre avuto una grande spinta propulsiva e propositiva. E non è vero che la gente che viene a teatro, in quest’era post-covid, vuole “solo ridere”: c’è tanta risposta anche negli spettacoli più seri, più impegnati. Alleggerire la vita sì, è giusto. Ma è giusto farlo in modo intelligente, promuovendo anche tematiche importanti di cultura per l’umanità.

Teatrosophia