Elogio di Massimo Marino che ci ha raccontato il mondo di serie B

Un mondo fatto di locali di periferia, di puttane, di ruffiani, di guitti e d’improbabili sosia di Celentano

Massimo Marino è morto nella notte tra giovedì e venerdì. A molti questo nome non dirà niente e nemmeno la sua faccia. Per alcuni invece rappresenta l’ingiustizia di una società tagliata con l’accetta del Politically Correct e dominata dall’ipocrisia di lupi travestiti da Cappuccetto Rosso. Una società alla quale lui non avrebbe mai avuto accesso, fosse anche vissuto cento anni. Del resto Massimo Marino era brutto e sporco. Ma ciò non è sufficiente per non ricordarlo nel giorno della sua morte. Lui veniva dalla borgata e di quella borgata era il menestrello. Nella vita ha raccontato un mondo di serie B, fatto di locali di periferia, di puttane, di ruffiani, di guitti e d’improbabili sosia di Celentano. Di emarginati, di spogliarelliste di quarta categoria, dei club privé e delle discoteche trash. Questo faceva Massimo Marino, ma lo faceva con la dignità di un Don Chisciotte che sapeva perfettamente di non poter mai uscire dal suo mondo di seconda mano.

Era consapevole del fatto che uno come lui non avrebbe potuto mai trovare spazio nella vera televisione e allora, dopo mezzanotte, da vent’anni, spiccava nel circuito delle tv private romane col suo programma di mostri e l’umanità che usciva fuori da una sola puntata di "Vivi Roma Television" non aveva paragoni con nessun programma trasmesso da Rai o da Mediaset. Siamo certi che Pasolini lo avrebbe amato e usato per raccontare quella purezza che talvolta trasforma il brutto in bello. Qualcuno lo ha notato, e anche lui ha avuto il suo momento buono. Verdone l’ha inserito dentro uno dei suoi peggiori films e poi qualcun altro, a cascata, l’ha ingaggiato per qualche caratterizzazione. Ma sempre poco più di una comparsata. Il povero Massimo come tutti i disgraziati che si rispettano, non ha mai avuto il suo riscatto. Non ha mai visto premiata col successo una vita spesa combattendo i suoi mulini vento. Ha sempre resistito col sorriso sulle labbra e forse non gli è neanche pesato cosi tanto (quelli come lui sono di bocca buona).

Il fatto che fosse un coatto e che vestisse come uno Zorro del Quarticciolo non vuol dire che non fosse un signore, elegante nella sua volgarità. Solo gli stupidi e i presuntuosi si saranno fermati di fronte all’apparenza e non avranno notato la sua gentilezza d’animo, la forza, la purezza e il suo talento innato per la verità. Del resto, certe perle, non sono per tutti. Non vogliamo fare l’apologia di Massimo Marino, non vogliamo dire che è stato un genio incompreso e che in un mondo più giusto avrebbe dovuto presentare il festival di Sanremo. Vogliamo solo ricordarlo perché lo meritava e, soprattutto, perché pochi lo faranno. Ciao Massimo, "A frappé!"

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