Un 25 aprile da dimenticare

Un 25 aprile caratterizzato da aggressioni tra gruppi afferenti all’attuale politica e mancanza di rispetto per la memoria dei nostri morti

Anche il 25 aprile 2019 è passato ma, questa volta, meno inosservato di altri in una Italia sempre più divisa in nome di ideali ormai scomparsi, morti e sepolti da tanto. Dagli striscioni inneggianti a Mussolini, ai battibecchi su Twitter di Alessandra Mussolini, dalle bandiere di Tito portate in trionfo a Trieste all'ANPI, associazione nazionale partigiani che non ha, ormai, motivo di esistere più in quanto nata solo ed esclusivamente per riunire, nel periodo post bellico, coloro che si erano battuti nella resistenza.

Sembra che il secondo conflitto mondiale sia terminato solo da qualche anno eppure sono trascorsi 75 anni dalla fine della seconda guerra mondiale; in 75 anni l'Italia ha fatto passi da gigante nello sviluppo economico, industriale e infrastrutturale, così come anche nei rapporti tra gli eredi di quel fascismo che per un ventennio ha dominato la Penisola e coloro che hanno lottato nella resistenza ritrovandosi, poi, assieme seduti negli scanni del Parlamento; contrapposti, anche con veemenza, ma soltanto verbalmente e con grande rispetto reciproco, senza offese, senza strumentalizzazioni vuote ma solo con costruttive proposte e critiche tutte indirizzate verso il bene del Paese; quel Paese che oggi appare essersi fermato nella sua crescita e quasi sottoposto ad una regressione in tutti i settori. Eppure si riesce a trasformare sempre più il 25 aprile in una lotta, una contrapposizione tra fazioni pseudo politiche, tra chi canta l'ormai anacronistica "bella ciao" e chi viene additato e chiamato fascista come se le camicie nere e il fez ancora esistessero. Credo che alla base di un simile fenomeno ci sia una grande ignoranza che scambia la celebrazione del 25 aprile come festa dei comunisti contro i fascisti e non della democrazia contro la dittatura.

Siamo davanti ad una umanità che ha sofferto dittature ammantate da ideologie di tutti i tipi e di tutti i colori, da quella socialista a quella comunista, nazista e fascista, nelle quali i milioni di morti per ciascuna di essa non si contano; Stalin, Tito, Hitler, Mao Zedong e chi più ne ha più ne metta, tutti con milioni e milioni di morti sulla propria coscienza.

Siamo giunti al punto di perdere di vista il vero valore di quel giorno e della sua celebrazione, osserviamo un rinato e ingiustificato livore agganciato ad una falsa politica priva, ormai, di contenuti, valori, progettualità che rende più difficile mantenere quella obiettività che è necessaria e indispensabile per rileggere la nostra storia; perché è ciò di cui si tratta, riuscire a leggere quanto accaduto con una certa obiettività per riconoscere gli errori di ieri per riuscire ad evitare quelli del domani. Simon Bolivar, eroe latino americano battutosi per la libertà e l'indipendenza dalla Spagna di quei Paesi, sosteneva: “È più difficile mantenere l'equilibrio della libertà che sopportare il peso della tirannia” ammettendo, così, la fragilità di quella estrema conquista che è appunto la libertà.

Stiamo rischiando di mettere seriamente a rischio proprio quella libertà che i nostri padri e nonni hanno conquistato a rischio della loro vita garantendo a noi quella democrazia che viene deturpata da quei politici che continuamente, con terminologia anacronistica, si sforzano di riesumare concetti che fanno parte solo della nostra storia ormai passata. Forse quegli stessi politici dovrebbero pensare che il 25 aprile è il momento per commemorare tutti quei giovani che sono morti per la Patria e i cui nomi riecheggiano in quei cimiteri riempiti solo da loro; essi, se realmente rappresentanti di quella Repubblica fondata sul sangue di quei morti, dovrebbero tener conto, impegnandosi in tal senso, delle parole di Roosevelt secondo il quale “La vera libertà individuale non può esistere senza sicurezza economica ed indipendenza. La gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature.” 
 

 

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