Gesù nella sinagoga di Nazareth

di Il capocordata

La scena inaugurale di Nazareth (Lc. 4, 16-30), collocata agli inizi del ministero pubblico, orienta il lettore verso la piena comprensione del mistero della persona e dell’opera del Salvatore. Dopo averlo presentato come il profeta messianico e l’uomo di Dio incaricato di annunciare ai piccoli del suo popolo la Buona Novella della loro liberazione e di introdurre con la sua venuta nel tempo umano un “oggi” di Dio, un momento eccezionale della sua grazia nella storia della loro salvezza, l’evangelista Luca espone le differenti reazioni degli ascoltatori di Nazareth: dapprima riconoscimento, consenso e ammirazione (v. 22); sorpresa e stupore poi (v. 22); infine indignazione, rifiuto e rottura (vv. 28-29).

“Tutti gli rendevano testimonianza…”: l’ammirazione si concentra sulle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca. Si tratta della attualizzazione nella sua persona della profezia di Isaia che egli dichiara compiuta “oggi”. L’accento cade sulla efficacia delle parole di Gesù che portano la grazia che Dio fa agli uomini e tendono ad identificarsi con Gesù stesso. I commenti degli abitanti di Nazareth sull’identità di Gesù e sulla sua parentela (“Non è figlio di Giuseppe?”)  alludono velatamente all’incapacità dei suoi concittadini di cogliere la vera identità di Gesù che l’evangelista ha narrato nei primi due capitoli del suo Vangelo.  

E Gesù affronta i suoi compatrioti con una severità aggressiva che pare supporre a priori nei suoi interlocutori delle cattive disposizioni innate: “…Medico cura te stesso: quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui nella tua patria!” (v. 23). Invece di aprirsi nella fede e lasciarsi coinvolgere nel dono di Dio, i suoi si chiudono su ciò che conoscono di lui e lo pretendono. La conoscenza e la pretesa della carne impediscono la fede. Questa è obbedire a Dio e seguirlo per conoscerlo, non è conoscerlo e addomesticarlo per farsi obbedire.

L’applicazione a Gesù del proverbio popolare esprime quella che costituisce, agli occhi degli abitanti di Nazareth, una condizione indispensabile per il loro riconoscimento di Gesù: come un medico deve anzitutto essere capace di curare se stesso per conquistare la fiducia e la stima dei suoi clienti futuri, così Gesù dovrebbe dimostrare il suo potere salvifico presso i suoi prima di pretendere di convincerli. Altrimenti, quale credito accordare alle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca?  

La scena inaugurale di Nazareth non riferisce soltanto il primo episodio del ministero di Gesù, ma evoca già simbolicamente l’insieme di tale ministero, il rifiuto di Gesù da parte del popolo di Israele e l’accoglienza riservatagli dai pagani. Secondo Luca, Gesù non farà alcun miracolo a Nazareth, perché non vuole farlo a causa del rifiuto di accogliere le parole di grazia, cioè di riconoscere in Gesù colui che realizza le promesse dell’A.T. La caratteristica che, proprio nella sua patria a Nazareth, non abbia fatto deliberatamente nessun miracolo, proviene da una interpretazione a posteriori di tutta l’opera di Gesù: Israele non beneficerà della salvezza che Gesù è venuto a portare.

Il rifiuto di Gesù è lo stesso dei profeti, che hanno potuto operare solo là dove non c’era pretesa dell’intervento di Dio. Lì il dono ha trovato mani per essere accolto. Nessun dono può essere preteso, diversamente è distrutto. Gesù, poi, risponde alle parole che egli attribuisce ai suoi interlocutori: “Nessun profeta è ben accetto in patria” (v. 24). Il tempo della salvezza di cui Gesù inaugura il compimento non si realizza per gli abitanti di Nazareth che non accettano Gesù, il portatore di questa salvezza. Non si tratta di un profeta disprezzato dai suoi, ma del profeta inviato da Dio al suo popolo per salvarlo in quel preciso momento della sua storia e tuttavia non accettato nella sua patria.

La salvezza accordata ai pagani (vv. 25-27)

Il ricordo dei miracoli compiuti dai profeti Elia ed Eliseo in favore dei non giudei serve a preannunciare la salvezza che il profeta Gesù apporterà ai pagani. L’invio di Elia presso la vedova di Zarepta di cui assicura la sussistenza e risuscita il figlio e la guarigione di Naaman il Siro da parte di Eliseo mostrano già che della potenza del Dio di Israele possono beneficiare anche i pagani. Gesù, profeta non accetto in patria, eserciterà in definitiva il suo ministero soltanto a beneficio dei pagani. Perciò dal punto di vista di Luca in quanto teologo della storia, la carriera terrena di Gesù, le parole che ha detto e i gesti da lui effettivamente compiuti in mezzo al suo popolo non hanno apportato a quest’ultimo la salvezza di cui potranno beneficiare invece i pagani.

L’episodio di Nazareth prefigura già il risultato inatteso della sua missione. Gesù si rifiuta di fare qualsiasi miracolo a profitto dei suoi concittadini, la sua patria più vicina, e invece ne farà a Cafarnao. Infatti la sua patria, l’insieme del popolo giudeo, non riconoscendo in lui il profeta che adempie oggi le promesse della Scrittura, non ne vedrà la realizzazione. Ma questa si estenderà all’intero universo. La reazione ostile dei nazaretani (“lo cacciarono fuori dalla città” v. 28), annuncia già la fine tragica del ministero terreno di Gesù.

In questa cacciata violenta di Gesù fuori della città di Nazareth, Luca prefigura la morte infamante di Gesù, crocifisso fuori della città di Gerusalemme. “Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò” (v. 30): finché non sarà venuta l’ora decisiva, Gesù sfuggirà ai suoi compatrioti, ma la strada seguita da lui lo condurrà a Gerusalemme per morirvi e per risorgervi. Gesù attraversa miracolosamente la folla dei nemici. Non resta preda della cattiveria degli uomini. E’ un presagio della risurrezione di colui che continua il suo cammino in mezzo a noi, beneficando e risanando tutti coloro che stanno sotto il potere di satana, perché Dio è con lui.                     

Bibliografia consultata: Samain, 1974; Fausti, 2011.

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