Il segno del tempio e la fede

di Il capocordata

L’episodio della purificazione del Tempio (Gv. 2, 13-25), che è anche annuncio della sua sostituzione (v. 19), è narrato nello stile semplice e sintetico di Giovanni. Il racconto della cacciata dei mercanti dal Tempio di Gerusalemme trova una sua buona collocazione dopo la rivelazione a Cana di Galilea di Gesù come messia e ora, come tale, va a prendere possesso del tempio: il segno del vino nello sposalizio in Cana di Galilea e quello del tempio che prefigura la risurrezione. Il tema fondamentale è sempre la dialettica fra rivelazione e fede-incredulità.

Il segno del Tempio e il Figlio del Padre

Per comprendere il gesto (“scacciò tutti dal tempio”) e le parole di Gesù (“Non fate della casa del Padre mio una casa di commercio”) dobbiamo riandare all’ambiente storico-culturale dell’epoca dell’AnticoTestamento che annuncia il nuovo tempio nel tempo ultimo (escatologia giudaica). Ad esso sono legati la figura del messia e la tendenza all’universalismo della fede negli ultimi tempi. L’ambiente in cui Gesù operò la purificazione del tempio conosceva dunque che questa sarebbe stata compiuta dal messia; gli ebrei, per di più, conoscevano la speranza della instaurazione di un nuovo tempio, centro della fede universale verso il Dio di Israele. E Gesù stesso si inserisce col suo gesto e con le sue parole in questa tradizione.

Egli anzitutto agisce, senza parlare, cacciando dal tempio i buoi, le pecore, le colombe e i cambiavalute. Le colombe servivano per i sacrifici dei poveri; i cambiavalute servivano a cambiare la moneta impura con l’effige dell’imperatore con la moneta legale di Tiro, naturalmente dietro un certo guadagno; i buoi e le pecore indicano l’abolizione dei sacrifici operata da Gesù. Con una frusta di cordicelle caccia tutti fuori e spiega il suo gesto clamoroso.

Gesù messia si presenta come Figlio che purifica la casa del Padre suo e ne prende possesso, volendo salvaguardarla dalla profanazione del commercio. Ma questo rinnovamento è preludio al di un cambiamento molto più radicale, che Gesù esprime nella disputa seguente (vv. 18-20).  I giudei gli domandano di mostrare loro un segno che comprovi la sua autorità messianica. Gesù offre loro il segno supremo: la risurrezione. “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò sorgere di nuovo” (v. 19): l’accento non è sulla distruzione, ma sulla riedificazione del nuovo tempio escatologico, aspettato dai pii giudei. Il verbo che Giovanni usa è il termine che indica la risurrezione del suo corpo. I giudei, nella risposta, dimostrano di non capire il senso profondo dell’affermazione di Gesù e sottolineano l’assoluta impossibilità della sua pretesa di riscostruire il santuario in tre giorni, mentre avevano impiegato ben 46 anni per la sua ricostruzione, intrapresa da Erode il Grande. Alla domanda ironica dei giudei Gesù non risponde, perché la risposta sarebbe venuta dalla sua risurrezione che la parola “egeirein” sottintende.

Col detto misterioso sulla distruzione del tempio e il suo miracoloso risorgere, Gesù si arrogava la dignità di messia, Figlio di Dio. Gesù risorto è il nuovo tempio, che si sostituisce all’antico; la risurrezione è l’evento definitivo (escatologico), che costituisce il nuovo centro di culto in spirito e verità.

Il segno del tempio e Gesù risorto (vv. 17.21-22)

Non solo i giudei, ma neppure gli apostoli compresero il senso più profondo del gesto e delle parole di Gesù. Lo capirono solo dopo, alla luce della sua risurrezione e con l’aiuto della Scrittura. Il suo gesto di zelo per la casa di Dio lo avrebbe portato all’opposizione, alla persecuzione e alla morte. Quindi la purificazione del tempio è un preludio alla morte di Gesù, come nei sinottici è un motivo della sua condanna a morte. Il corpo di Cristo risuscitato sarà il nuovo tempio, in cui si dirigeranno i popoli tutti. Esso è il centro del culto in spirito e verità, il luogo della presenza di Dio in mezzo agli uomini, il tempio spirituale, da cui scaturisce la sorgente di acqua viva.

Giovanni conclude con la fede degli apostoli: quando Gesù fu risuscitato dai morti, essi allora si ricordarono di ciò che aveva detto Gesù: la predizione della sua risurrezione e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. La luce della risurrezione di Gesù getta luce sulla sua persona e sulla sua parola per comprenderne il senso. Si capisce così ancor meglio il significato di “segno” in Giovanni. Non solo Gesù fece dei “segni” (miracoli), che rivelano la sua persona, ma era egli stesso un segno da interpretare: i suoi gesti, le sue parole erano dei segni, dietro ai quali stava nascosta una realtà personale profonda, che si rivelerà in pieno solo con la risurrezione.

Solo allora gli apostoli comprenderanno di quale realtà erano segni i suoi gesti e le sue parole. La morte di Gesù apparirà il risultato del suo zelo per la casa del Padre, che egli vuole restaurare  perché sia centro di un nuovo culto in spirito e verità. La sua risurrezione è quel fatto definitivo (escatologico), che fa risorgere e instaura in Cristo il nuovo tempio spirituale, che sostituisce l’antico, materiale, ancora chiuso nella ristretta concezione nazionalistica. E’ la risurrezione che fa rinascere la fede assopita, una fede che ha la forza di rompere tutte le barriere, in modo che si realizzi il sogno dei profeti, che la nuova casa del Signore sia casa di preghiera per tutti i popoli della terra.                                                                    

Bibliografia consultata: Segalla, 1972.

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