Legge Pinto: continuano le condanne dello Stato Italiano

Ecco come il nostro ordinamento tutela i cittadini dalla durata eccessiva dei processi

Come molti sapranno la legge riconosce la possibilità di richiedere un’equa riparazione del danno a coloro che hanno affrontato un processo di lunghezza eccessiva. Stiamo parlando della cosiddetta Legge Pinto, uno strumento volto a combattere il fenomeno, diffuso in Italia, della durata irragionevole del processo. Ma quando la durata del processo può essere considerata ‘ragionevole’? Abbiamo incontrato l’Avv. Domenica Cautela, il quale ci ha chiarito alcuni concetti: “per il primo grado di giudizio si reputano ragionevoli tre anni, per il secondo grado due anni, e per il terzo grado un anno”. E sulla proposizione del ricorso spiega: “il ricorso può essere presentato nel termine di sei mesi dal momento in cui è divenuta definitiva la sentenza che ha concluso il procedimento, dalla persona che ha subito il danno dovuto alla lungaggine processuale. Per tanto anche la parte risultata soccombente nel giudizio potrà avvalersi della L. Pinto, in quanto la lunghezza del processo ben potrebbe danneggiare anche quest’ultimo, basti pensare ad eventuali condanne al pagamento di interessi moratori ”.                                                                                                                               

Se il ricorso viene accolto, il Giudice condanna lo Stato Italiano al pagamento di una somma liquidata a titolo di equa riparazione per i danni oggettivamente derivati dalla lungaggine processuale. Ma a questo punto ci siamo chiesti: e se lo Stato non paga?Potrei portare l’esempio di un caso specifico – prosegue l’Avv. Cautela – nel quale a fronte di una causa durata dodici anni in primo grado, la Corte d’Appello di Perugia pronunciava un decreto di condanna nei confronti dello Stato Italiano a rifondere il danno dovuto all’eccessiva durata del processo. Il problema vero si pone quando lo Stato non ottempera spontaneamente al provvedimento di condanna, costringendo cosi il cittadino a dover avviare ulteriori azioni giudiziarie (esecutive, amministrative) che si traducono in costi aggiuntivi per lo Stato, il quale dovrà corrispondere (oltre alle somme a cui è stato condannato) le ulteriori somme derivanti dai giudizi di recupero. L’Italia non si è mai realmente adeguata alla normativa europea, e non ha mai messo mano in modo strutturale alla riorganizzazione della giustizia per ridurre concretamente i tempi dei processi”.

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