Omicidio Colleferro, il ristoratore racconta del branco: “Ho avuto paura, Willy no”

Un ristoratore racconta un episodio in cui gli indagati per l’omicidio di Willy Monteiro sono arrivati nel suo locale, portando prepotenza e inquietudine

In ricordo di Willy Monteiro Duarte

La fiaccolata in ricordo di Willy

Su la Repubblica dell’11 settembre la testimonianza di un ristoratore di Giulianello, frazione di Cori, che racconta un episodio in cui il branco di indagati per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, è arrivato nel suo locale, portando prepotenza, tensione e inquietudine.

La testimonianza del ristoratore

Il gestore del locale racconta del “clima pesantissimo” che si è creato quando i ragazzi hanno parcheggiato i loro macchinoni, l’atteggiamento spavaldo, la volgarità e il tono alto della voce, una gara di rutti perfino. Paragona il loro modo di farsi rispettare a quello dei cani, marcando un nuovo territorio.

Molti clienti si sono allontanati, mentre il gruppetto esibiva catene d’oro, bicipiti minacciosi, tatuaggi vistosi. Sono entrati nel locale con modo da far west domandando “chi è che comanda qua dentro?” e polemizzando sulla schiuma della birra, i bicchieri, i tavoli, ogni cosa come occasione per comandare e fare i bulli. “Ho avuto paura e solo a casa mi sono tranquillizzato”, ammette sentendosi in qualche modo in difetto.

Il ristoratore: “Willy più coraggioso di me”

Il gestore oggi ripensa a quel giorno con rimorso. “Penso alla mia vigliaccheria, al mio non aver proferito parola, al mio averli serviti con educazione mentre mi mancavano palesemente di rispetto in casa mia, e anche al fatto che avevano la metà dei miei anni”. “Willy è stato più coraggioso di me”, conclude amaramente.

E poi argomenta su come debbano essere interpretati, a suo avviso, questi episodi di violenza, che nulla hanno a che fare con il cinema, la letteratura, i mezzi di comunicazione o la musica.

“So che non c’entrano Gomorra, Tarantino, Romanzo Criminale, non c’entrano Internet, la trap o le arti marziali, così come ai tempi miei non c’entravano Dylan Dog, il rap, le sale giochi. C’entrano le istituzioni, c’entrano i genitori, c’entra la scuola. La storia è sempre la stessa, ma non la studiamo mai. Il resto sono stronzate, e cercare dei colpevoli ci alleggerisce sempre”.

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