Povertà: morde un minore su 8. A rischio molti di più, anche nel Lazio

Una situazione non solo drammatica per chi la vive, ma con vaste e pericolose ripercussioni sul futuro

Viene voglia di guardare da un’altra parte, se il problema non lo vivi in prima persona. E se non riguarda nessuno tra quelli che ti sono cari o che comunque non ti sono indifferenti.

Normale. Spiacevolmente normale, ma a suo modo anche logico. A meno di avere una sensibilità forte per le disgrazie degli altri, o una precisa consapevolezza politica, ognuno di noi è talmente indaffarato a venire a capo delle proprie difficoltà da non volersi fare carico dei guai altrui. Nemmeno emotivamente.

Intanto, però, l’impoverimento generale non si ferma. E colpisce innanzitutto le due fasce sociali che sono per definizione le più deboli: quella degli anziani e quella dei più giovani, minorenni in primis. Lo studio presentato ieri a Roma, sulla base di dati Istat elaborati per la fondazione L’Albero della Vita, si concentra proprio su quest’ultimo segmento. E ci dice – o magari ci ribadisce, perché è in sostanziale continuità con altre analisi precedenti – che qui in Italia i bambini in povertà assoluta sono circa un milione e 200mila. In pratica, uno su otto.

Detto in altri termini, perché le cifre astratte tendono a perdere di significato, immaginatevi 16 stadi come l’Olimpico di Roma, che ha una capienza di 72mila spettatori, pieni zeppi di ragazzini. Che non hanno le cose che dovrebbero avere e che, forse soprattutto, risentiranno del disagio economico in ambito scolastico. Traduzione: se studieranno poco, e magari anche male, le loro vite saranno condannate a priori a rimanere impigliate nelle medesime ristrettezze. Se studieranno poco e male, bisogna subito aggiungere, è più che probabile che andranno ad alimentare le tipiche infezioni della marginalità, dall’inciviltà spicciola fino alla vera e propria delinquenza.

A proposito: il cosiddetto ‘ascensore sociale’, quello che consente di passare dal proprio livello socioeconomico di partenza a uno migliore, è peggio che bloccato. La ricchezza, complice la crisi del 2008, è distribuita in modo sempre più diseguale. Come riportava un articolo del Sole 24Ore nell’agosto scorso, “il quinto dei più benestanti detiene il 37,8% del reddito, mentre il quinto dei più poveri solo il 7,2%”.

Povertà: Roma e il Lazio

La nostra regione, ovviamente, non è affatto estranea al fenomeno. In un dossier sul 2017, realizzato dalla UIL territoriale e intitolato ‘Produzione di ricchezza e la dinamica del PIL. Il Lazio nel quadro italiano’, viene sottolineato “un forte peggioramento dell’area capitolina rispetto al resto del Paese. Roma infatti, che nel 2011 si collocava al quarto posto nella graduatoria delle provincie italiane, perde ben 3 posizioni nel 2014, scendendo al settimo posto con un valore aggiunto per abitante pari a 31.076 euro (-3.000 euro circa)”.

E le conclusioni erano ancora più allarmanti: “Sebbene le analisi socioeconomiche presentino letture diversificate sullo stato di salute della città, su una cosa molti concordano: l’uscita dalla crisi non è a portata di sguardo”.

Infatti: “non è a portata di sguardo”, né potrà esserlo in futuro. Se ci fosse un po’ di coraggio in più, in tutti questi studi che espongono dati drammatici e sciorinano dolenti riflessioni, si tirerebbero le somme e si riconoscerebbe una volta per tutte l’amara, ma sacrosanta, verità. La crisi del 2008 ha cambiato definitivamente le prospettive dell’Europa e in particolare dell’Italia: sempre meno tutele e sempre più incertezze.

Qualsiasi forza politica in buona fede dovrebbe partire da questo.

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