Religione, Convertitevi e credete al Vangelo

di Il capocordata

Il brano odierno (Mc. 1, 14-20) si compone di un sommario, che descrive sinteticamente gli inizi della predicazione di Gesù, e della narrazione della duplice chiamata dei primi quattro discepoli.

“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (v. 15)

Secondo una mentalità religiosa del tempo, quando Gesù inizia in Galilea la sua predicazione, il male era troppo forte e nessuno sforzo umano avrebbe potuto liberare da esso il mondo e la storia. La ragione era che fin dall’inizio della creazione, il peccato di alcuni angeli aveva introdotto in essa una corruzione così irrimediabile che solo un intervento divino avrebbe potuto salvare l’umanità e dare inizio a un mondo nuovo.

Sono le affermazioni caratteristiche del cosiddetto pensiero “apocalittico”, e permettono di cogliere con una percezione più profonda quanto Gesù annuncia: l’atteso e implorato, risolutore intervento divino, capace di rifondare la storia, è alle porte. E’ giunto al suo termine il vecchio mondo, si inaugura il mondo nuovo. La chiave per entrarvi è quanto io vi proclamo, dice Gesù, il mio lieto annuncio (vangelo). Credete ad esso, cambiando radicalmente non solo l’oggetto, ma perfino il modo di attuarsi del vostro pensare (cambiate mente).

E’ ovvio che un tale annuncio, soprattutto se fatto da chi aveva diritto al trono di Davide come suo discendente, e così realizzare quanto annunciava, non poteva non avere un effetto dirompente. Curiosamente, l’evangelista Marco tace di un immediato seguito di grandi folle, e torna subito a narrare di eventi particolari, che interessano poche persone, con il risultato di isolare il personaggio Gesù dentro il suo annuncio e mostrare il rovescio problematico di quanto egli proclama. All’entusiasmo che una tale visione cosmica può suscitare si contrappone il problema di trovare chi la possa accettare.

Questo spiega la forzata concisione con cui l’evangelista narra le chiamate di Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni. Più ancora che i personaggi del racconto, sembra sia l’evangelista Marco ad affrettarsi verso la fine, sacrificando tanti particolari, fino a rasentare l’inverosimile. Proprio all’opposto della gradualità dei primi incontri con i discepoli percepibile nel racconto dell’evangelista Giovanni, proclamato domenica scorsa. “E subito lasciarono le reti e lo seguirono…Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui” (vv. 18.20).

Gesù vede, chiama a seguirlo, dà una ragione difficile da ponderare, “vi farò diventare pescatori di uomini” (v. 17), e i primi due fratelli lasciarono le reti e lo seguirono. L’evangelista Marco forse dimentica di aver appena detto che mentre Gesù li chiamava essi “gettavano le reti in mare” (v. 16).

Ne segue che Pietro e Andrea, per seguire Gesù, lasciarono andare le reti in fondo al lago, con un’evidente perdita economica e l’impossibilità di riprendere il loro lavoro. Un lasciare immediato, irriflesso, irreversibile. Lo stesso per Giacomo e Giovanni, i quali, nel seguire Gesù, sembrano contravvenire a ogni norma di pietà filiale. La venuta del regno provoca davvero una trasformazione nel modo di pensare e di intendere qualsiasi rapporto.

C’è il senso del definitivo nel vangelo che la liturgia ci propone oggi. Gesù dice che “il tempo è compiuto” (v. 15) e coloro che ricevono la sua chiamata interrompono le loro occupazioni e vanno subito con lui, compiendo una scelta che ha anch’essa il senso del definitivo: lasciano il padre, le reti, il lavoro: si decidono per una vita diversa. Gesù li chiama e loro decidono di accettare la sua chiamata, senza stare troppo a pensarci.

Ascoltare questa pagina di vangelo suscita sempre una grande emozione, perché ci fa ricordare e rivivere il momento del nostro primo incontro vivo con lui, della nostra decisione per una vita con lui, segnata dalla sua presenza, dal suo insegnamento, dalla condivisione della sua esistenza e della sua missione. Una vera relazione che, come tutte le relazioni, ha avuto e ha i suoi momenti intensi e quelli spenti; quelli dell’entusiasmo e quelli della stanchezza. Ciascuno di noi ha una propria storia con il Signore, e ci fa bene ogni tanto ricordarne l’inizio.

La chiamata dei primi discepoli accende in noi la memoria del momento in cui ci siamo sentiti chiamati e siamo approdati consapevolmente alla fede. Forse siamo cresciuti in un ambiente che ci ha educati a una vita cristiana quasi naturale: tutti andavano a messa la domenica, tutti facevano riferimento alla parrocchia, molti davano una mano alle attività di essa. Ma forse a un certo punto ci siamo fatti delle domande: che senso avevano quelle abitudini? Perché un certo stile di vita?

E poi è venuto un giorno, di solito nella nostra giovinezza, in cui è come se si fosse accesa una luce dentro di noi, e ha illuminato un “paesaggio” interiore al centro del quale stava la persona di Gesù. Eravamo qualcuno per lui! Lui che aveva parole diverse da quelle di altri e apriva alle nostre esistenze orizzonti di pienezza: il tempo era compiuto! E’ vero anche che a quel momento luminoso sono seguiti giorni più opachi e faticosi: abbiamo dovuto compiere scelte difficili, controcorrente, e il dubbio di aver sbagliato direzione. Per questo occorre ritornare ogni tanto con la memoria al momento sorgivo della nostra fede, e riascoltare dentro di noi la Parola di Gesù che ha cambiato l’orizzonte della nostra vita.                                                                            

Bibliografia consultata: Tosolini, 2018; Bignardi, 2018.

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