Religione, Gesù siede alla destra di Dio

di Il capocordata

Il vangelo di Marco termina con la fuga delle donne, le uniche che non hanno abbandonato Gesù, che lo hanno visto morire sulla croce; erano presenti alla sua sepoltura e si sono recate al sepolcro, il mattino di Pasqua, per ungere il corpo del Maestro. Il nostro brano per la festa della Ascensione del Signore (Mc. 16, 9-20) appartiene a una seconda conclusione, aggiunta dalla comunità credente sin dall’antichità. Fiumi di inchiostro si sono versati nel tentativo di dare una spiegazione. Ritengo che l’evangelista Marco abbia scelto di non chiudere il suo vangelo, ma di lasciarlo aperto cosicché il lettore, in ogni generazione, possa scrivere la conclusione con la propria vita. Ogni discepolo si trova faccia a faccia con il solo annuncio della risurrezione da parte del giovane (angelo) in bianche vesti: accoglierà la sfida o lascerà che la paura lo chiuda nel silenzio?

Mi piace pensare che, dopo qualche anno, una comunità sconosciuta abbia voluto condividere la scelta della missione: portare il Vangelo della risurrezione a tutta la creazione, come il Risorto comanda alla comunità dei suoi discepoli: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (v. 15). La buona notizia (Vangelo) è la persona stessa di Gesù perché in lui il regno di Dio si è fatto presente nella vita del mondo. La buona notizia è il racconto a riguardo di Gesù; le sue parole e le sue azioni sui malati e gli indemoniati; ciò che ha fatto e insegnato con la sua vita, morte e risurrezione.

L’annuncio del Vangelo provocherà reazioni diverse: fede e incredulità. La fede si manifesta nella disponibilità a ricevere il battesimo, a condividere la morte e risurrezione di Gesù. Se l’immersione nella vita di Dio conduce alla salvezza, il rifiuto della Signoria salvifica è una scelta di morte. Alla parola annunciata si affiancano segni prodigiosi, che non provocano la fede, ma offrono una conferma divina a coloro che sono divenuti credenti. Come Gesù, i discepoli proclamano una santità che non è data dalla separazione (come nell’AT), ma dal contagio.

L’immagine più efficace di questa totale immersione di Gesù nella realtà umana abitata dal male è l’episodio che troviamo in Mc. 5,1-20. Gesù entra in territorio pagano, incontra un uomo posseduto dai demoni che vive tra i sepolcri, parla con una “legione” di demoni e libera l’uomo inviando i demoni nei porci! Il contatto con il male non rende Gesù impuro ma, al contrario, è sorgente di santificazione e salvezza: monda, perdona, guarisce, risuscita dai morti. Allo stesso modo il discepolo inviato dal Cristo è mandato a superare ogni barriera, a raggiungere ogni luogo e ogni persona: colui che è mandato condivide la stessa autorità sul male del suo Signore, gode della sua protezione, e collabora con Dio a ricostruire l’armonia originaria: “scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (vv. 17-18).

Il testo termina descrivendo l’obbedienza della comunità alla Parola di colui che, assunto in cielo, alla destra di Dio, continua a essere presente nell’annuncio dei suoi: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la Parola con i prodigi che l’accompagnavano” (v. 20).

L’ascensione del Signore apre il tempo della chiesa, di una chiesa adulta perché “in uscita”. Il vangelo di oggi ci dice che la comunità credente muore quando si richiude in se stessa perché la chiesa è nata dalla missione del Figlio, per la missione. Ogni chiusura nei propri confini culturali o etnici, nei propri privilegi, persino nella ricerca della propria salvezza è una condanna a morte per asfissia. In questo continuo andare la comunità dei discepoli non comunica, tuttavia, un passato che è sacro (la vita, morte, risurrezione del Cristo), ma un presente che è sacro perché Cristo continua a essere in noi.

Gesù che ascende al cielo è ancor più vicino a noi, anche se in un altro modo. Non più come il Messia che condivide la loro vita terrena, ma come il Signore, vittorioso sul male e sulla morte. Lo Spirito santo è la risorsa vera della missione. E’ lui che sottrae gli apostoli alla tristezza, alle angustie, alle preoccupazioni eccessive davanti a un futuro del tutto inatteso. E dona loro la gioia, la speranza, la serenità di chi si affida alle mani di Dio, senza fare troppe domande.

Forse alcuni di loro si attendevano di poter protrarre oltre ogni limite quei quaranta giorni, in quella stanza del Cenacolo, a cui li legava la memoria di quell’ultima Cena, e nella quale Gesù era apparso loro procurando una grande gioia. Ma Gesù non permette ai suoi di coltivare a lungo questa illusione. Gesù li invia in missione: chiede loro di mettersi per strada per raggiungere ogni uomo e ogni donna, di ogni razza e cultura e portar loro la Buona Notizia. Ai suoi Gesù chiede di affrontare il mare aperto, le tempeste della storia, il disperdersi dopo aver vissuto quegli straordinari quaranta giorni dopo la Risurrezione.

Sta proprio qui il significato dell’Ascensione: ora il Risorto li accompagna con la sua presenza. E a quelli che credono offre dei segni inconfutabili, segni chiari della sua azione in mezzo a loro. Le forze del male non potranno nulla contro di loro. Anzi quando ingaggeranno una lotta contro di esse, riusciranno vittoriosi, perché l’amore vince ogni male, ogni cattiveria, ogni astuzia. Proprio come è accaduto a Gesù.                                                                                                      

Bibliografia consultata: Gatti, 2018; Laurita, 2018.

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