Religione, “Non vi lascerò orfani, verrò da voi”

di Il capocordata

Le affermazioni riguardanti l’amore per Gesù e l’osservanza dei suoi comandamenti o delle sue parole (Gv. 14, 15-21) costituiscono il tema di fondo di questa parte del discorso di addio di Gesù, rivolto ai discepoli durante l’ultima cena: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (v. 15); “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (v. 21). Le parole di Gesù instaurano un rapporto tra l’amare Gesù e il custodire i suoi comandamenti o la sua parola. Ogni volta queste affermazioni sono accompagnate da una promessa riguardante una presenza divina in coloro che corrispondono alla richiesta di Gesù: è il Paraclito, lo Spirito della verità, che andrà a dimorare nei discepoli (vv. 15-17); è Gesù stesso che andrà a dimorare nei discepoli (vv. 18-21). Gesù pregherà il Padre e il Padre donerà ai discepoli lo Spirito della verità perché dimori in essi e chiarisca il senso di tutto ciò che Gesù ha detto loro. Queste presenze si realizzano mediante il dono dello Spirito Santo.

“Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (v. 15). Già nell’A.T., amare Dio e custodire i comandamenti è per il popolo di Israele la risposta all’alleanza fondata sull’amore fedele del Signore. Sappiamo che Gesù, poi, riassume “i comandamenti” in “un comandamento”: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (13, 34). Gesù dà un unico comandamento, precisando che il suo contenuto, prima e più che un compito, è un dono. Il “come io vi ho amati”, non è solo comparativo (fate come me), ma anzitutto causativo: poiché vi ho amati, potete anche voi amarvi con lo stesso amore con cui vi ho amati. Con il loro amore i discepoli testimonieranno che il Cristo non è assente, ma presente nel cuore della stessa loro esistenza.

Inoltre, Gesù identifica “i suoi comandamenti” con “la mia parola”: ciò ci induce a pensare che con i “comandamenti” Gesù non intende indicare dei precetti etici, ma l’insieme della rivelazione in quanto sorgente di vita. Tuttavia, Gesù non vuole sostituire i comandamenti della tradizione mosaica; anzi afferma che, amandosi scambievolmente, si compie tutta la Legge. Anche l’aggettivo “miei” non intende sottolineare alcuna distanza dai precetti della Legge, poiché Gesù non fa altro che custodire i comandamenti del Padre incarnandoli nella propria vita.

“…io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre” (v. 16). E’ la prima delle cinque promesse riguardanti il dono dello Spirito disseminate nel discorso di addio. Gli interpreti preferiscono oggi trascrivere il termine greco (paràkletos), mentre un uso antico lo rendeva col termine “consolatore”. Ma essendo un participio passivo, letteralmente significa “chiamato presso qualcuno”, in latino “advocatus”. I compiti dello Spirito Santo non si devono però desumere dal titolo con cui è designato, ma dai cinque testi che ne precisano l’azione che è chiamato a compiere in favore dei discepoli di Gesù.

Tre verbi descrivono l’azione post pasquale dello Spirito: guidare verso l’intera verità, esprimere ciò che avrà udito, comunicare ciò che sta per avvenire. Si tratta di rivelare, di annunciare ciò che si è udito. Il Paraclito non esporrà nuovi contenuti, ma spiegherà il messaggio di Gesù alla Chiesa in modo nuovo, adattandolo alle situazioni in cui essa si troverà e a ciò che le dovrà accadere nei singoli contesti storici del suo futuro e di quello dell’umanità. Lo Spirito Santo darà alla Chiesa il senso cristiano della storia, suggerirà la risposta della perenne parola di Dio, accaduta una volta per tutte, ai nuovi problemi che la storia umana porrà.

Il compito del Paraclito è quello di insegnare e far ricordare la parola di Gesù. Nel linguaggio biblico “ricordarsi” implica non solo il ricordo di un fatto del passato, ma una presa di coscienza del suo significato per il presente. Questo ruolo interpretativo dello Spirito Santo fa della comunità il luogo in cui la parola di Gesù è sempre di nuovo ricevuta e attualizzata in modo creativo nell’esistenza dei credenti.

Come mettere insieme amore e comandamenti? Cuore e regole, passione e limiti, tenerezza e ordini? L’amore che Gesù ci domanda, l’amore che si attende, non è quello della letteratura romantica. Ci chiede di amarlo con tutto noi stessi, e quindi anche con la testa e la volontà. Ci chiede di dargli fiducia, di abbandonarci a lui, rinunciando a far valere sempre il nostro modo di giudicare, di valutare, di agire. Ci chiede di affidargli la nostra vita, mettendoci per quella strada che egli ha tracciato. Lungi dallo scivolare velocemente sull’asfalto, dobbiamo fare i conti con i sassi e con passaggi ripidi, talora dobbiamo aggrapparci alla roccia. La fede, del resto, la si vede proprio in questi frangenti, quando ci si affida a lui.

Inutile immaginare un cristianesimo senza comandamenti: semplicemente non esiste. Il conflitto che sorge tra la nostra mentalità e il disegno di Dio è del tutto naturale e non mancano momenti strazianti. C’è per ogni discepolo, come per Gesù, un orto degli ulivi. Non siamo soli, però. Non siamo abbandonati a noi stessi, alle nostre paure e ai nostri momenti di scoraggiamento. Gesù ci assicura un compagno di strada, discreto, ma sempre presente, un consolatore, un suggeritore che ci porta verso la verità del Vangelo. E’ lo Spirito Santo. Senza di lui mettere insieme amore e obbedienza, fiducia e comandamenti, pace del cuore e fatica quotidiana sarebbe cosa impossibile. Ma lo Spirito è con noi proprio per realizzare l’impossibile, proprio per costruire il Regno servendosi della nostra fragilità e della nostra debolezza.                                              

Bibliografia consultata: Nason, 2017; Laurita, 2017.

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