Ristoranti: Shiren Akhter, quando la sala diventa un palcoscenico

Si parla molto più degli chef che dei camerieri. Lo chef ci mette la faccia ma se il cameriere non sa raccontare l’anima dello chef, il suo lavoro diventa inutile

Shiren Akhter con Fabio Catino

Shiren Akhter con Fabio Catino

In questi anni post-Covid il mondo della ristorazione si è ritrovato ad affrontare un problema forse inatteso: la difficoltà nel reperire personale di sala. Le cause sono molteplici, ognuno parta avanti la sua teoria ma senza risolvere un problema che sta creando situazioni, fino a qualche tempo fa, inimmaginabili. Noi abbiamo voluto affrontare questo tema a modo nostro, ovvero raccontando la sala e la bellezza di un mestiere troppo spesso bistrattato, con gli occhi di una cameriera innamorata del suo lavoro. Lei è Shiren Akhter, originaria del Bangladesh, arrivata in Italia quasi venti anni fa appena undicenne. Nel 2015 inizia a lavorare in un bar in via dei Banchi Vecchi, nel centro di Roma e qui scopre la passione per la sala e il servizio.

Ama stare tra i clienti, servirli, chiacchierare con loro; poi, negli anni a seguire viene conquistata anche dal mondo del vino tanto da frequentare corsi FISAR (Federazione Italiana Sommelier Albergatori e Ristoratori) per sommelier sino ad arrivare, nelle prossime settimane, al 3° livello. Grazie alla sua determinazione, le idee sempre chiare e una famelica voglia di crescere ben presto arriva nell’alta ristorazione conquistando 2 stelle Michelin in due ristoranti diversi. Ed è proprio in via dei Banchi Vecchi, lì dove tutto ha avuto inizio, che la incontriamo e dove ci racconta il suo amore per la sala.

Buongiorno Shiren, come sei arrivata nel mondo dell’alta ristorazione?

Il primo lavoro importante è arrivato nel 2019 durante un breve viaggio a Milano. Ho iniziato da Spazio di Niko Romito dove ho avuto la fortuna di incontrare una persona che mi ha aiutato ad entrare in questo mondo, un bravo direttore e un vero leader, cosa non scontata, come Fabio Catino. Sono rimasta a Milano un anno e mezzo prima di tornare a Roma con una grande voglia di crescere e di entrare nell’alta ristorazione, volevo provare la ristorazione stellata.

Così, nel giugno del 2021, ho avuto la possibilità di entrare da Zia Restaurant (1 stella Michelin) di Antonio Ziantoni, dove sono rimasta un anno e mezzo prima di trasferirmi, a dicembre del 2022, da Pulejo (1 stella Michelin) con Davide Puleio. Dal luglio scorso sono da Bistrot 64 del patron Emanuele Cozzo, ma non nascondo che mi piacerebbe rientrare nella ristorazione stellata e magari provare anche le 2 o 3 stelle. Per me non cambia nulla, il mio approccio è e sarà sempre lo stesso che sia un ristorante stellato, un bistrot o un semplice bar.

Shiren Akhter, Bistrot 64

Quali devono essere le caratteristiche di un buon cameriere?

La cosa basilare è essere se stessi poi essere gentili, carpire le abitudini del cliente, stare attenti ai dettagli e soprattutto avere una grande sensibilità. E’ importante entrare nella mente e nell’anima del cliente; fondamentale è rompere il ghiaccio, anche con una battuta, che sia un politico importante, un noto sportivo o un comune ospite. La cosa che amo di più è quando un cliente torna al ristorante e chiede di me, è la cosa più bella. Sono nell’alta ristorazione da meno di cinque anni ma mi è capitato, quando ho cambiato ristorante, che alcuni ospiti mi venissero a trovare.

Non ho avuto la possibilità di girare il mondo ma quando sono in sala è il mondo che gira intorno a me, ho la possibilità di incontrare persone di ogni Paese con le quali instaurare anche un rapporto di amicizia a volte, magari tramite i social. In questo lavoro è fondamentale metterci il cuore, il cameriere copre tanti ruoli se ci pensiamo: durante il servizio mi sento una ballerina, al termine del servizio una psicologa, a volte anche un’infermiera. Noi iniziamo a conoscere l’ospite già al momento della prenotazione, poi abbiamo cura di lui, entriamo nella loro mente, cerchiamo di capire le loro esigenze. E’ un lavoro completo, recitiamo tanti ruoli e questo è bellissimo, è passione.

Shiren Akhter, Zia Restaurant

Cosa ci racconti dell’esperienza con Antonio Ziantoni da Zia Restaurant?

E’ stata bellissima, la prima esperienza stellata, una sfida per me che venivo da un bar. Ho conosciuto Antonio quando lui lavorava ancora a Il Pagliaccio, proprio qui in via dei Banchi Vecchi e la cosa che più mi colpì fu la sua umiltà. Durante i primi giorni di prova da Zia lo vidi annaffiare le piante alle 2 di notte! Non ci potevo credere! Ecco, l’umiltà è un’altra caratteristica fondamentale che bisogna possedere in questo mondo. Poi, quando vado a fare un colloquio devo sentirmi a casa, devo trovare gentilezza, umiltà e in Antonio ho trovato tutto. Ho trovato anche Marco Pagliaroli, un direttore e un fratello; sono stata fortunata e ho imparato molto con loro.

Shiren Akhter, Pulejo

Come è stata, invece l’esperienza da Pulejo?

Con Davide sono cresciuta molto. In ogni posto che vado cerco di portare quello che ho imparato nelle esperienze precedenti e anche qui ho contribuito a fare piccoli cambiamenti e di questo sono molto orgogliosa. Non mi interessa se nel contratto c’è scritto “cameriera” perché io so quanto valgo e penso di poter essere in grado anche di dare consigli e aiutare il Direttore.

Shiren Akhter e Davide Puleio

Venendo al tema attuale sulla mancanza di personale di sala, cosa ne pensi?

Intanto, si parla molto di più degli chef che dei camerieri e questo mi dispiace. Lo chef mette la faccia ma se il cameriere non sa vendere, non sa raccontare l’anima dello chef il suo lavoro diventa inutile. Oppure, se io ho una cantina importante ma non so vendere una bottiglia, quella bottiglia rimane lì. Bisognerebbe valorizzare la figura del cameriere, inoltre Maitre e Direttori dovrebbero invogliare i giovani che si avvicinano a questo mondo, farli appassionare a questo lavoro.

Se avessi avuto, oggi, un direttore come Fabio Catino avrei rinunciato anche alle stelle. La cosa importante è far crescere la persona e pagarla il giusto e quella persona difficilmente cambierà lavoro. Bisogna investire e far capire al ragazzo che è un investimento ma purtroppo non tutti sono in grado di farlo.

Come giudichi la tua esperienza in Italia vissuta da donna proveniente da un Paese lontano?

Io sono sempre stata ribelle e quindi libera tanto che sono arrivata in Italia a soli undici anni e ho deciso di rimanere qui. Se voglio crescere devo avere una mentalità aperta per avvicinarmi anche mentalmente al posto dove sono. Faccio un lavoro faticoso, a volte ho pensato di cambiare, ma poi non lo faccio perché la sala è la mia passione.

Qui in Italia, grazie anche a questo lavoro, ho cambiato il mio mondo interiore ed un giorno mi piacerebbe portare nel mio Paese la cultura italiana. Poi, venendo da un Paese molto povero lavorare nell’alta ristorazione per me è tanta ricchezza, riesco ad essere ancora più sensibile ed a capire più di altri quanta fatica e sacrifici ci siano dietro.

Chi è il tuo punto di riferimento in sala?

Come avrai capito è Fabio Catino, quando parlo di lui mi si illuminano gli occhi. Un direttore deve dare il buon esempio, lo vedevo ovunque: in cassa, pulire i bicchieri, essere in cucina se c’erano problemi. Ecco, vorrei essere una persona così, un leader non deve essere solo un Direttore, deve essere ovunque, deve prevenire i problemi e deve sporcarsi anche le mani se serve, non deve solo pretendere e questo manca a molti.

Quali sono i tuoi sogni nel cassetto?

Sto diventando sommelier di 3° livello e vorrei usare le mie conoscenze sul vino per portare dei cambiamenti nel mio Paese dove il vino invece non esiste. Un altro sogno è quello di aprire un’enoteca dove servire sia piatti italiani che indiani.