Artena, come avere un patrimonio dei più suggestivi e lasciarlo morire

Soffocata dalle erbacce, in balia degli agenti atmosferici, la Villa rustica romana rischia di finire ancora una volta sottoterra

Basta spostarsi pochi chilometri fuori le mura di Roma per scoprire che i paesi immersi nel verde della campagna romana nascondono più storia di quanto si possa immaginare. E Artena non avrebbe certamente nulla da invidiare ad altri siti archeologici sparsi nella regione. Anzi, la storia di quella che potremmo chiamare “l’Artena delle origini” si lega profondamente a quella che è stata la storia dell’impero Romano e dell’Italia, e grazie al lavoro instancabile dell’equipe di archeologi della sede romana della TempleUniversity(Philadelphia) è possibile rendersene conto anche al giorno d’oggi.

O almeno così dovrebbe essere: la visita organizzata dal Gruppo Archeologico di Artena nella mattinata di domenica 19 agosto, infatti, ha avuto il doppio effetto di far conoscere sì un pezzo di storia a quanti non ne erano a conoscenza, ma anche di sottolineare come un lavoro che ha richiesto tempo, fatica e denarocorra il serio rischio di finire ancora una volta sottoterra. Oltre 20 anni dopo l’inizio degli scavi e ben 13 anni dopo la morte di Roger Lambrechts, principale fautore dei lavori a cui è intitolato anche il Museo Archeologico, il sito di Piana Civita rimane incompleto, esposto alle intemperie e invaso dalle erbacce. Protetta solo da cancellate facilmente aggirabili, la villa rusticaromana che domina il pianoro, giace nel più completo abbandono: gli ultimi scavi risalgono allo scorso anno, forse riprenderanno il prossimo, mentre in questi mesi si è provveduto alla copertura con tessuti speciali e plastiche di quanto finora emerso, per scongiurare il rischio di perdere definitivamente un bene che prima di essere patrimonio dell’umanità appartiene alla città di Artena. Esempio lampante, il mosaico in bianco e nero che pavimenta una delle vasche, coperto da strati di tessuto-non-tessuto e plastiche, che il visitatore non può ammirare che attraverso fotografie perché, come ha spiegato il professor Jan Gadeyne, l’assenza di una copertura adeguata aumenterebbe i rischi di un deterioramento del reperto a contatto con gli agenti atmosferici.

Erano un buon numero i visitatori che hanno scelto di trascorrere la propria domenica tra gli scavi di Piana Civita: a partire dal piazzale del fontanile, sede anticamente di un insediamento distrutto da un incendio, guidati dal professore dell’Accademia Belga Jan Gadeyne, il tour è proseguito risalendo il pendio che porta al terrazzamento su cui sorgeva la villa romana, di cui sono riemersi in particolare i locali adibiti a magazzino e le terme. Una visita non solo interessante ma anche emozionanteper chi è cresciuto sapendo che un pezzo così importante di storia dominava la valle su cui sorge la città nuova: e chissà che i discendenti di quei popoli antichi non vivano ancora oggi proprio ad Artena?

Un’idea suggestiva, certo, che potrebbe però diventare un ricordo sfocato. Sì perché, a quanto pare, tra i pochissimi fondi destinati dalla Temple University, la manutenzione praticamente nulla da parte delle nostre istituzionial livello microscopico (Comune) quanto macroscopico (Regione), il lavoro di una vita rischia di essere interrato di nuovo. Se non c’è nessuno a prendersene cura a che scopo lasciarlo in superficie, in balia del sole e della pioggia? Che senso hanno i tabelloni informativi sbiaditi e soffocati dai cardi?

Dunque, se le istituzioni rimarranno mute, a testimoniare l’esistenza di Piana della Civita, oltre ai racconti di chi l’ha vista, potrebbero restare solo i reperti conservati nel museo archeologico: anfore, tessuti, fibre, a cui presto si aggiungeranno preziosissime monete d’oro di epoca bizantina e un esemplare di moneta d’oro longobarda, molto rara in queste zone. E forse il sogno di Roger Lambrechts resterà solo questo, un bel sogno.

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