Corpus Domini: “Io sono il pane vivo”

La solennità del Corpus Domini si caratterizza, anche, per il suo richiamo all’importanza dell’adorazione eucaristica

Il Capocordata in montagna

Il Capocordata

L’evangelista Giovanni non racconta l’istituzione dell’Eucaristia nell’Ultima Cena, narrandoci invece la lavanda dei piedi ai discepoli. Tutti i temi eucaristici, invece, sono raccolti nel sesto capitolo del suo Vangelo.

Io sono il pane vivo (Gv. 6, 51-58)

Io sono il pane vivo” (v. 51). Questa espressione deve essere suonata abbastanza incomprensibile per i discepoli, soprattutto per i giudei a cui Gesù si stava direttamente rivolgendo. Gesù usa l’espressione “Io sono” per manifestare la sua divinità attribuendo a sé stesso il nome di Dio: “se infatti non credete che “Io Sono”; questo è il Nome che il Signore ha rivelato a Mosè sul Sinai.

Nell’episodio della moltiplicazione dei pani per i cinquemila la folla non ha compreso il significato del gesto compiuto da Gesù nell’averla sfamata: questa folla che aveva visto soddisfatti i suoi bisogni, cerca prima di garantirsi questo dono facendo re Gesù, poi chiede di ricevere “il pane che discende dal cielo”, richiesta alla quale Gesù non si sottrae, affermando di essere egli stesso “il pane della vita” e di essere “disceso dal cielo”.

Questo richiamo al “pane disceso dal cielo” risulta incomprensibile per i giudei, a cui Gesù risponde ripetendo di essere “il pane della vita” e affermando di essere di gran lunga superiore alla manna del deserto, in quanto gli ebrei che mangiarono la manna sono poi morti, mentre il vero pane che discende dal cielo è dato “perché chi ne mangia non muoia” (v. 50).

Poi, Gesù sposta l’attenzione sulla necessità di “mangiare la sua carne” (v. 51). E’ evidente come nel discorso di Gesù, soprattutto se letto con gli occhi del discepolo del Risorto, si parli di una comunicazione della vita: il pane è “vivo”, quindi contiene in sé la vita, e la comunica a chi se ne nutre.

Di che vita si tratta? “In lui era la ‘vita’ e la ‘vita’ era la luce degli uomini” (1, 4). Questa vita è la vita di Dio, la vita del Verbo che, facendosi carne, è venuto ad abitare in mezzo a noi, discese dal cielo. Per il discepolo, l’interpretazione di questo versetto risulta abbastanza semplice, non stupisce però che la stessa cosa non valga per i giudei, che infatti discutevano aspramente sul significato dell’insegnamento di Gesù, tanto da essere scandalizzati. D’altronde l’accusa di cannibalismo rivolta ai primi cristiani nasceva dalla ignoranza dell’insegnamento di Gesù.

Avere la vita

Se non mangiate la carne… se non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita” (v. 53). Esiste un solo modo per avere la vita ed è quello di mangiare la carne e bere il sangue del Figlio dell’uomo e questo perché solo partecipando della vita di Dio si può accedere alla vita eterna. La vita eterna è espressa come partecipazione alla vita stessa di Gesù che è il vivente e che partecipa a noi la sua vita nella partecipazione al banchetto eucaristico.

Questa vita è anche eterna e quindi proiettata verso il futuro, aprendo alla risurrezione della fine dei tempi. “Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda” (v. 53). L’aggettivo “vero”, veritiero, serve a sottolineare il carattere divino, per indicare che viene da Dio.

“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui “ (v. 56)

In questa affermazione Gesù sottolinea come il mangiare la sua carne e bere il suo sangue costituiscano un vincolo di unità con lui stesso, vincolo che era già stato implicitamente accennato attraverso l’immagine della partecipazione della vita di Cristo, ma che qui è detto uguale al rapporto stretto tra Cristo e Dio Padre: colui che mangia me vivrà per me, come io vivo per il Padre!

Questo “vivere per” va inteso come “vivere grazie a”, “vivere a motivo di”. La partecipazione al banchetto eucaristico, che permette la partecipazione alla vita stessa di Cristo, non è neanche paragonabile alla manna: se quel dono per gli ebrei fu utile per uno scopo limitato, il corpo di Cristo è invece per la “vita eterna”.

L’adorazione: aver cura del Signore

La solennità del Corpus Domini si caratterizza, anche, per il suo richiamo all’importanza dell’adorazione eucaristica, ampliata dalla processione, che riconosce la presenza reale di Cristo nel suo corpo e nel suo sangue. L’adorazione eucaristica non è una pratica “devota” che chiude in un solitario intimismo alla ricerca di una fuga dal mondo per stare con il Signore, ma si tratta di rimanere con il Signore contemplando il suo amore presente nel suo corpo dato per noi, di rimanere con il Signore come prolungamento della celebrazione del suo sacrificio, come desiderio di entrare in comunione reale con lui mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue. In altre parole, l’adorazione eucaristica è manifestazione del nostro amore per lui, della “cura” che manifestiamo al suo corpo, quello sacramentale e quello ecclesiale.

Signore, uomini e donne, noi abbiamo fame: fame di tenerezza e di comprensione, di misericordia e di fiducia. Tu solo sei il Pane della vita, colui che può saziare finalmente la nostra esistenza stentata. Abbiamo fame di dignità e di grandezza, fame di coraggio e di entusiasmo. Tu solo sei il Pane della vita, colui che ci fa sedere alla tavola dei figli, colui che ci fa gustare una pienezza insperata.

Noi abbiamo fame, Signore, perché non troviamo nutrimento adeguato quando attraversiamo i deserti provocati dall’egoismo e dall’avidità. Tu solo sei il pane della vita, tu che abbatti tutto ciò che ci separa, tu che ci fai scoprire la gioia di vivere da fratelli e sorelle, la gioia di spartire i beni della terra, la gioia di condividere quello che abbiamo.

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Busia, 2023; Lameri, 2023; Laurita, 2023.