Gesù e Pietro

Camminano sulle acque

Il miracolo di Gesù che cammina sulle acque (Mt. 14, 22-33) va accostato naturalmente a quello della tempesta sedata: in ambedue i casi Gesù agisce sugli elementi della natura, e mentre Gesù cammina sulle acque, soffia un vento violento. La tradizione ha collegato molto presto questo fatto con la moltiplicazione dei pani. Dopo il racconto della moltiplicazione dei pani, Gesù “costringe” i discepoli a salire sulla barca e precederlo sull’altra sponda. Sapevamo che precedentemente Gesù aveva attraversato da ovest ad est il lago di Galilea per sfuggire alla folla che l’assediava e poter stare in intimità con il Padre celeste, specie dopo la triste notizia del martirio di Giovanni Battista nel carcere per mano di Erode, e, soprattutto, dopo il tentativo della folla a volerlo proclamare Re, in conseguenza del miracolo strepitoso della moltiplicazione dei pani. Gesù allontana i suoi discepoli perché non vuole che anch’essi vengano insidiati dalla tentazione del trionfalismo circa il messianismo di Gesù, malgrado gli insegnamenti del Maestro.

Gesù prega (v. 23)

Dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù cerca un po’ di tranquillità: il luogo dove si trova, più che montagnoso, è in realtà desertico. Il monte dove Gesù si ritira non è tanto un luogo geografico, quanto un ambiente spirituale e un luogo solitario. Il monte è il luogo preferito della preghiera, il luogo dell’incontro con Dio. Dio si rivela dal monte. La solitudine di Gesù sottolinea la sua vicinanza a Dio. Secondo il pensiero di Matteo, il monte ha lo scopo di rievocare Mosè e di indicare in Gesù il nuovo Mosè, il solo che ormai si deve ascoltare. Gesù si ritira nella solitudine del monte e si rivolge al Padre: la folla vuole il successo facile, mentre il Padre vuole che egli attirerà tutto a sé con la sua elevazione sulla croce. Con la preghiera al Padre Gesù vuole rinforzarsi nel senso della propria missione.

Gesù, Signore degli elementi (vv. 24-27)

Durante la traversata del lago con la barca avviene la tempesta: è notte, soffia il vento e i discepoli si affaticano invano. L’acqua agitata dal vento contrario mette in pericolo con le sue onde la barca. La barca simboleggia la chiesa, tempesta e mare sono le forze del caos che combattono contro di essa. La quarta vigilia della notte, tra le tre e le sei del mattino, è il tempo del soccorso di Dio. La  reazione dei discepoli in presenza di Gesù rivela la causa profonda di tale situazione: essi hanno paura e non riconoscono Gesù; mancano ancora di fede, come Gesù dirà a Pietro. Vedendo Gesù che cammina sul mare, lo prendono per un fantasma: egli deve farsi riconoscere, perché Gesù agisce come uno che non è sottoposto alle leggi della natura e offre così un segno della sua divinità. Tale constatazione permette di accostare più profondamente l’episodio di Gesù che cammina sulle acque a quello della tempesta placata: chi può compiere prodigi del genere se non Dio stesso? Il fatto che Gesù cammini sulle acque è un segno che tutte le creature sono messe sotto i suoi piedi e che egli è veramente il Salvatore del mondo. Così l’apparizione di Gesù che cammina sulle acque costituisce una specie di “teofania” (manifestazione di Dio), come sottolineano le parole conclusive dei discepoli: “Tu sei veramente il Figlio di Dio” (v. 33). In tale situazione il titolo di “Figlio di Dio” acquista il suo significato forte di allusione al nome di Jahvé.

Pietro cammina sulle acque (vv. 28-31)

Il vangelo di Matteo ha conservato anche il ricordo del cammino di Pietro incontro a Gesù. L’episodio di Pietro che cammina sulle acque sottolinea fortemente la mancanza di fede di Pietro con il conseguente rimprovero da parte di Gesù, il che contribuisce ad annettergli una particolare importanza dal punto di vista della storicità. Si potrebbe affermare che l’atteggiamento di Pietro che cammina sopra le acque prefigura quello che terrà prima e dopo l’arresto di Gesù: uno slancio generoso che sembra partire da una fede profonda, e poi debolezza, ma, subito dopo, movimento verso Gesù che lo perdona e lo salva. La grazia trasformerà a poco a poco il carattere di Pietro che da un uomo pauroso ne ha fatto un martire! Pietro incarna il cammino della fede nel cuore dell’uomo: egli crede, ma la sua fede rimane fragile. Quando pensa a Gesù, è forte; ma quando riprende coscienza della sua condizione umana, affonda! Ma grida: “Signore, salvami!” (v. 30), e Gesù lo afferra e lo salva. E’ l’immagine autentica delle lotte dell’uomo per il Cristo: attraverso la fede e l’amore, l’uomo è in qualche modo afferrato da Cristo.

Le ore d’angoscia vissute dai Dodici durante il ministero di Gesù sono diventate per gli evangelisti il simbolo della situazione della chiesa nell’ora delle persecuzioni: con l’Ascensione Gesù se ne è andato solo verso il Padre, lasciando i discepoli che lottano nel mondo fino al suo ritorno e vivono nella notte della fede. Anche oggi la chiesa deve lottare ovunque, e ovunque i cristiani devono attraversare la notte della fede. La fede resta la condizione dell’uomo per tutto il tempo della sua vita di cristiano sulla terra. In ogni istante il discepolo di Cristo, scosso dalla prova, si sente abbandonato in mezzo alla tempesta; riconosce tuttavia che solo Cristo è capace di salvarlo dagli attacchi del mondo. E se la sua fede si indebolisce come quella di Pietro, è ancora verso Cristo che si volge il cristiano: “Signore, salvami”, e Gesù lo perdona e lo rialza, e, nello Spirito, Cristo lo fortifica ancora per confessare che Gesù è veramente il Figlio di Dio! (v. 33).

La professione di fede dei discepoli in Gesù quale Figlio di Dio, accompagnata da un atto di prostrazione, conclude il racconto. I discepoli nella barca reagiscono con la loro professione di fede a una manifestazione divina (epifania) concessa loro da Gesù che afferma: “Sono Io”, espressione che allude al significato forte di Jahvè, il Signore!

Il tema centrale dell’episodio è la fede. La situazione di Pietro dimostra chiaramente che la fede in Gesù non è esclusivamente ragionevolezza. Credere è osare: chi osa credere è sorretto da colui nel quale crede. La fede è obbedienza. Chi pratica l’obbedienza della fede ottiene di partecipare dell’essere e dei poteri di Cristo.                                                                                                                                                         

Bibliografia consultata: Gaide, 1974; Gnilka, 1990.

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