Gli auguri di fine anno di Monsignor Leonardo D’Ascenzo, arcivescovo di Trani

Il vescovo della Diocesi Trani-Barletta-Bisceglie: “Oggi si vive una solitudine esistenziale. I social? Utili alla nostra missione”

Monsignor Leonardo D'Ascenzo

Monsignor Leonardo D'Ascenzo

Una vita per il Signore. L’esistenza dedicata agli altri, come perno imprescindibile di una missione, di una chiamata. Per sé e per gli altri.

La nostra intervista con gli auguri per il 2023

Monsignor Leonardo D’Ascenzo, da Valmontone a Trani, in Puglia. Un percorso che dal seminario lo ha condotto a ricoprire il ruolo di Arcivescovo dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie. Dalla provincia romana a due passi dal mare. Lo abbiamo incontrato proprio nella città del primo codice marittimo della storia, gli Ordinamenta Maris, del 1063. Parlando della sua storia, tra ricordi passati e speranze future. In quella Trani, appunto, perla dell’Adriatico, che oggi Monsignor Leonardo chiama casa.

Eccellenza, innanzitutto buone feste. Che Natale è stato quello trascorso?

Il Natale di sempre, perché nella fede l’incarnazione del Signore Gesù, con Dio che assume la nostra carne, per vivere la nostra storia e condividere le nostre storie. E’ un Dio che si fa compagno di viaggio. Per noi è la consapevolezza di non viaggiare da soli. In particolare, è un Natale in cui questa verità va ad incrociare le caratteristiche che ogni tempo assume. Non possiamo ancora considerare alle spalle questa pandemia. Portiamo ancora delle conseguenze, delle incertezze. Soprattutto nel mondo giovanile.

Come percepisce i giovani di oggi?

Proprio quest’anno ho maturato la decisione di incontrare tutte le scuole della Diocesi. Dalla scuola materna alle scuole superiori. Ogni settimana vado in una scuola e dedico tutta la mattina all’ incontro. Quello che sto verificando è che i giovani che incontro, non corrispondono alle descrizioni che leggo e che sento in determinate indagini sociologiche. Molti giovani hanno le problematiche che tutti conosciamo, ma avverto pure che i ragazzi sono per noi adulti motivo di speranza e fiducia nel futuro. Sono giovani di spessore. Di una saggezza e sapienza che non immaginavo. Questo lo verifico da quello che dicono, condividono, domandano al mondo degli adulti e alla Chiesa.

La fiducia che avevo e non potevo non avere nei confronti dei giovani, sento che si sta rafforzando. Ed è un tempo ben speso. Tra le cose che i nostri giovani chiedono c’è la vicinanza. Chiedono la vicinanza di noi adulti. E domandano di essere presi in considerazione seriamente, di essere ascoltati. Recentemente un giovane mi ha detto: “Voi dite che ci siamo allontanati dalla Chiesa, ma probabilmente siete voi adulti che ve ne siete siete allontanati. E noi di riflesso in qualche modo ne risentiamo”.

Un altro mi ha suggerito: “Voi non dovete preoccuparvi di portarci in Chiesa. Dovete preoccuparvi innanzitutto di portarci a incontrare noi stessi”. Queste considerazioni le fa chi ha uno spessore e prende in seria considerazione la propria vita, il proprio futuro. Mi stanno dando motivo di una rinnovata fiducia e speranza.

Don Leonardo e i giovani

Lei ha parlato di gioventù. Per me è uno stato d’animo e non un dato riscontrabile sulla carta d’identità. Che giovane è stato lei? Da Valmontone, a Trani. Che storia è stata?

Io ho sempre raccontato la mia esperienza come un’esperienza di normalità. Come quella di tanti giovani. Sono cresciuto con attività ricreative, di formazione e di catechesi. Tra campi scuola, campeggi e scuola di musica, che a Valmontone è una passione tradizionale. Molti tra i giovani di allora studiavano musica, partecipando anche al gruppo folkloristico della città di Valmontone. Per non parlare poi, delle partite di calcio.

E’ sportivo?

Molto. Io ho giocato a pallone sino ai primi mesi del mio trasferimento a Trani, da vescovo. Poi ho dovuto rinunciare per qualche doloretto. Ho cominciato da ragazzo giocando da numero 6, da libero. Poi quando sono entrato in Seminario, sono diventato un centravanti. Ho mantenuto questa posizione.

Da un estremo a un altro quindi?

Sì, ho calcato tutti gli spazi dell’area del campo sportivo. Questi gli ambiti nei quali sono cresciuto, trascorrendo una giovinezza piacevole. Ricordo tantissime relazioni, amicizie, affetti. Questa è la cosa più bella che porto con me. Le relazioni e le amicizie di tutti questi ambiti, che hanno fatto la mia storia. Non so ancora per quale motivo io sia qui a Trani oggi.  Sono motivi misteriosi. Ma il retroterra, il fondamento è questo.

Mentre ricordava la sua storia, quasi la ridisegnava con gli occhi. C’è una cosa, un momento che le manca? Se potesse tornare indietro, quale momento vorrebbe rivivere?

Tutto. Lo ripeterei passo dopo passo, giorno dopo giorno. Una normalità genuina. E poi come tutte le cose belle, quando la vita conosce dei cambiamenti il cuore porta con sé delle nostalgie. Ma nostalgie belle, che accompagnano. Che si ricordano molto volentieri. Con gratitudine e riconoscenza.

Valmontone e la bottega del sarto Giairo

Sempre riavvolgendo il nastro dei ricordi, suo padre a Valmontone era Giairo “il sarto”

Sì è vero. Papà sin da giovane stava seduto sui gradini della bottega, tra i ragazzi che si avviavano all’apprendistato artigianale di un mestiere che ha condotto per tutta una vita. Ha conosciuto mia madre, anch’ella una sarta e hanno dato vita a un laboratorio. A Valmontone naturalmente c’erano altri sarti. Ma questi negozi con gli anni che passavano hanno chiuso. E l’unico rimasto era quello del mio papà. Conosciuto nella città di Valmontone perché era un ottimo sarto, ricercato anche per il confezionamenti di abiti di qualità. Poi forse anche perché mio padre aveva un carattere che lo rendeva capace di relazionarsi con tutti. Sono io, Don Leonardo, vescovo figlio del sarto. Piuttosto che il contrario.

Quando si è accorto di questo percorso. Quando ha capito che sarebbe diventato un uomo di Chiesa?

In Chiesa io ci sono cresciuto, era il mio ambiente. L’ho capito in una graduale crescita che mi ha visto in parrocchia impegnato in diversi servizi. Anche nell’oratorio o nel catechismo. E poi crescendo come responsabile di un gruppo di educatori. Ricordo che in quel periodo chiesi al parroco di poter essere Ministro straordinario della Comunione. Quindi svolgendo il ruolo di portare Gesù Eucaristia agli anziani o ai malati. Dovetti insistere molto, perché avevo 17 anni e non avevo ancora l’età per poterlo fare. Fu impegnativo ottenerlo dal parroco.

Ma soprattutto, essendo ancora minorenne, era necessario il permesso del vescovo. Maturai la bellezza del servizio. Che dava senso alla mia vita. E aveva senso, nel momento in cui io mi spendevo per gli altri. Mi feci una domanda: “Ma se vivessi come prete per tutta la vita?” La mia risposta, “Perché no”. Ci fu il tempo del discernimento e poi quello dell’entusiasmo. La avvertii come chiamata dall’alto. La vocazione è questa. Il percepire qualcosa che viene da fuori e verificare che corrisponde a un desiderio. Questo conferisce gioia, piena soddisfazione.

I messaggi della Chiesa

Come mai c’è confusione quando si parla di Chiesa? I messaggi della Chiesa cattolica spesso vengono male interpretati. Trova che oggi servirebbe maggiore chiarezza e comprensione?

C’è sempre stato questo bisogno, oggi ancora di più. Non solo relativamente alla maniera comunicativa, ma anche relativamente ai contenuti. Che devono essere sempre alla portata dei destinatari. Un tempo quello che proponeva la chiesa era considerato come l’unica verità. Oggi magari viviamo in un tempo in cui non c’è una sola verità. Dunque non si accoglie una proposta che sia di tipo dogmatico. Ognuno ha la propria verità. E quindi c’è l’atteggiamento del supermarket: prendo e considero ciò che voglio e mi costruisco la mia verità. Questo può generare confusione. Da parte della Chiesa domanda uno sforzo faticoso notevole, una maggiore attenzione nel comunicare la verità di sempre. Ma va comunicato con i mezzi che abbiamo oggi, tenendo conto dei destinatari e delle varie situazioni.

Lei è favorevole a modalità più contemporanee di trasmissione del messaggio? Alcuni sacerdoti utilizzano modalità telematiche o supporti tecnologici. Che idea si è fatto?

Certo qualche volta bisogna essere consapevoli del fatto che ci sia un limite da non superare. Però sono favorevole. Bisogna raggiungere le persone su vari canali, percorrendo diverse strade. Il nostro è un annuncio di strada, bisogna andare incontro alle persone. Una volta veniva fatto fisicamente, oggi ci sono i social. Ogni Diocesi ha, tra i tanti uffici, quello delle comunicazioni sociali. C’è un direttore, una equipe, che curano anche una rivista, cartacea e online. Oltre che naturalmente un sito internet. Tutto sempre aggiornato. Compresi il canale YouTube, le pagine Instagram e Facebook.

Quando celebriamo una messa che riguarda tutta la comunità diocesana, nella Cattedrale di Trani possono entrare 800, 1000 persone. Ma siamo una comunità di 300.000 anime. Ecco perché, cerchiamo di attrezzarci per teletrasmettere la messa. Anche perché diventa utilissimo, soprattutto per persone anziane, malate o che magari non possono arrivare per qualsivoglia motivazione. Utilizzare i mezzi che la tecnologia ci offre oggi è una modalità per essere attenti nei confronti del prossimo. E’ una modalità di servizio.

Qual è il motivo per il quale oggi le persone chiedono e necessitano di aiuto?

Le persone oggi hanno molto bisogno di essere ascoltate. E’ un tratto tipico dell’essere umano, una realtà antropologica. La gente necessita di vicinanza, di sostegno. Un aiuto anche materiale. Che come chiesa esprimiamo attraverso il servizio della Caritas. Una domanda che cresce. Dal servizio mensa a una tipologia di servizio che curi le persone che hanno bisogno di un posto per dormire, di una doccia. Di quello che noi chiamiamo “servizio lavatrice”. Sono bisogni fondamentali. E il numero di chi domanda tutto questo, purtroppo è in crescita. C’è bisogno però anche di essere aiutati nel vivere una vita non ridotta alla sola dimensione materiale.

Chi ha risolto i problemi materiali di sapere dove mangiare, dove dormire, dove farsi una doccia, non ha risolto tutti i problemi. Ci sono tante persone che vivono una solitudine esistenziale. A costoro manca il senso della vita. Ci sono tanti giovani che cadono in depressione, che hanno tentato il suicidio. Qualche giovane purtroppo è morto. La Chiesa, un vescovo, in questo devono sentirsi chiamati. Nel dare il loro piccolo contributo di vicinanza.

L’arrivo a Trani

Con lei parleremmo per ore. Proviamo a cambiare anche leggermente il tono di questa chiacchierata. Che impressioni ha avuto quando si è trasferito qui? Spesso la gente utilizza il dialetto per esprimersi. Lei ha imparato a conoscerlo? Che effetto le ha fatto Trani e i tranesi?

Trani e la Diocesi con Barletta, Bisceglie, Margherita di Savoia, San Ferdinando di Puglia, Corato, Trinitapoli. Il primo effetto l’ho riscontrato prima ancora di venire qui. Il giorno dell’ Ordinazione Episcopale, a Velletri. Finita la celebrazione, ho iniziato a salutare le persone. E, a un certo punto, io non distinguevo le persone della Diocesi di Velletri-Segni, da quelle di questa Diocesi, Trani-Barletta-Bisceglie. Tutti manifestavano alla stessa maniera l’affetto. Quando poi sono arrivato qui e ho cominciato a rendermi conto del mondo in cui mi trovavo, ho compreso che in realtà non mi trovavo in un altro mondo. La differenza è tra un piccolo meno e un piccolo più.

E il più va a Trani. Nella zona di Velletri, a Sud della provincia di Roma, c’è un rapporto delle relazioni molto affettuoso, molto caldo? Sì, anche qui, forse anche un po’ di più. Lì a Velletri ci sono le feste patronali? Qui un po’ di più. Lì i fuochi d’artificio? Qui un po’ di più. Mi sono trovato subito bene, quindi. Le persone qui in Puglia sono straordinarie. Per trovare delle difficoltà con loro bisogna essere dei tipi proprio strani. Qui si vive bene.

Il dialetto pugliese lo comprende? In alcune pronunce è davvero particolare…

All’inizio c’era bisogno del traduttore, ma adesso sì. Tante parole anche dialettali sono simili e si comprendono. Bisogna entrare in sintonia più che con il vocabolario, con l’accento, con lo slang.

Gli auguri benedetti di Mons. Leonardo D’Ascenzo

Ultima cosa: siamo alla fine dell’anno. Che anno è stato questo 2022 e che anno si aspetta?

Mi aspetto che l’anno che sta per arrivare possa essere un anno dove i disagi che tutti viviamo con le guerre nel mondo e la guerra alle porte di casa nostra, che fa sentire i propri effetti dentro le nostre case, possano cessare. Possano le persone maturare un atteggiamento, un cuore che diventi disarmato. Un cuore più buono, accogliente, rispettoso dell’altro. Soprattutto della dignità dell’altra persona. Che non può che essere un fratello, una sorella.

Mi auguro si riesca a comprendere che la guerra non ha mai risolto nulla da quando esiste l’uomo. Non potrà mai risolvere problemi, anzi li peggiora. Mi aspetto ciò che chiediamo nella preghiera. Che permette a Dio di agire, lì dove il cuore indurito dell’uomo non riesce ad agire. Spero che possa essere un anno di pace. Da costruire tutti. Non solo i grandi della terra. A partire dall’esperienza che ognuno vive nel proprio quotidiano. Auguro a tutti i Valmontonesi e alle comunità di Artena, Segni, Colleferro, Anagni, Velletri e a tutti i diocesani qui a Trani, di essere persone che si vogliono bene. Per costruire una reale fraternità.