Il buon grano e la zizzania

“L’uomo è da Dio, l’errore dall’uomo: occorre amare ciò che ha fatto Dio, non ciò che ha fatto l’uomo” (sant’Agostino)

Il Capocordata in montagna

Il Capocordata

La parabola del grano e della zizzania

Il brano del vangelo di questa domenica (Mt. 13, 24-43) ci presenta altre tre parabole che Gesù rivolge dalla barca alla folla sulla spiaggia, nel tentativo di far capire ai discepoli il suo insegnamento sul Regno dei cieli. Anche qui troviamo un seminatore che semina del buon seme nel suo campo (v. 24). A questo punto Gesù fa intervenire un personaggio, “un nemico”, che semina la zizzania.

L’insidia è data dal fatto che tale azione non produceva effetti “immediatamente evidenti”, essendo possibile distinguere il grano dalla zizzania solo a stelo cresciuto e quindi in un momento in cui le radici di spiga e zizzania erano ormai intrecciate, rendendo impossibile strappare la zizzania senza correre rischio di sradicare anche parte degli steli di grano. E’ interessante nella parabola il ruolo dei servi che all’inizio sembrano quasi accusare il padrone interrogandolo prima ancora di avergli detto che c’è la zizzania: “Non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?” (v. 27).

Infatti, nessuno vorrebbe danneggiare il proprio raccolto. Infine, i servi vorrebbero offrirsi come mietitori: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?” (v. 28). I servi manifestano comprensibilmente un rifiuto per la zizzania, ma la loro proposta di raccoglierla non viene accolta dal padrone, che decide di lasciarla crescere insieme al grano. Questo perché al padrone non interessa tanto la zizzania, unica preoccupazione dei servi, a lui interessa solo che il grano non venga danneggiato. La zizzania, a differenza del grano, verrà distrutta, il padrone è netto e deciso su questo aspetto, solo non è ancora giunto il momento di separare la zizzania dal grano.

Le parabole del granello di senape e del lievito

Le due brevissime parabole del granello di senape e del lievito hanno in comune il tema della “crescita” dall’insignificante all’enorme e sono entrambe volutamente esagerate nel linguaggio “iperbolico” (esagerato) delle parabole. E’ quindi evidente come Gesù voglia sottolineare come la grandezza, la potenza del regno di Dio superi ogni immaginazione e sfugga ai normali canoni (regole).

Le due brevi parabole, per quanto simili, presentano una differenza sostanziale: mentre il granello di senape “cresce”, il lievito, invece, “fa crescere” l’impasto: il seme rappresenta quindi la manifestazione “in sé” del Regno, mentre il lievito rappresenta i suoi effetti “sugli uomini e donne”, sul creato. Ancora significativo nella parabola del lievito è l’uso del verbo “nascondere, mescolare”: la manifestazione del regno sarà anche la rivelazione di ciò che è al momento nascosto.

Le due parabole rispondono a due opposte prospettive: da una parte quella di chi non crede e si oppone al Regno (i farisei) contro i quali Gesù afferma la sicura e grande manifestazione del Regno; dall’altra quelli che attendono una sua “veloce” manifestazione, ai quali porge la speranza: “Il Regno si manifesterà, è già qui, ma bisogna attendere”.

La spiegazione della parabola del grano e della zizzania

La spiegazione della parabola è suddivisa in due parti. Nella prima parte Gesù spiega a chi corrisponde ciascuno dei personaggi: il seminatore è il Figlio dell’uomo; il nemico è il diavolo; i mietitori sono gli angeli. Inoltre, spiega che il campo è il mondo; il buon seme sono i figli del Regno e la zizzania i figli del Maligno; la mietitura è la fine del mondo. Nella seconda parte Gesù spiega la parabola nella prospettica escatologica (finale).

Come nella parabola del seminatore, il discepolo è chiamato a rileggere la sua vita e soprattutto il suo presente per non correre il rischio di fare la fine della zizzania bruciata nella fornace. Alla tentazione di lamentarci perché esiste il male, perché Dio permette il male, o ancora a quella di pensare che Dio sopporti il male degli altri per permettere agli altri di pentirsi, dobbiamo contrapporre la gratitudine per la pazienza con cui Dio aspetta e accoglie il nostro sincero pentimento. Così sebbene il regno di Dio si manifesterà in tutta la sua potenza e visibilità in un futuro più o meno prossimo, a noi è chiesto di vivere il nostro presente come figli del Regno.

La decisione di molti nella Chiesa di mettere in ordine “questo mondo” è forte, che mal sopporta il disordine morale e spirituale. Il padrone della zizzania decide diversamente: zizzania e buon grano devono crescere insieme sebbene ci sia il pericolo che il loglio (la zizzania) soffochi il grano. Sebbene non si escluda il giudizio, anche molto severo, l’obiettivo di Dio è però la salvezza. Come, allora, rimettere ordine in questo mondo? Con la testimonianza di una vita buona di fronte all’errore. E’ la verità dell’amore che vince l’errore.

Tutto ciò non significa acquiescenza dinanzi al male. “L’uomo è da Dio, l’errore dall’uomo: occorre amare ciò che ha fatto Dio, non ciò che ha fatto l’uomo” (sant’Agostino). Proprio questo amore spinge a correggere la persona che sbaglia. Tuttavia il discepolo di Gesù, se vuol seguire il suo Maestro, deve seguire sempre il metodo della correzione fraterna: vi è una progressione finalizzata al bene di chi sbaglia (cfr. Mt. 18, 15-18).

O Signore, tu sai come è fatto il cuore dell’uomo: è capace di generare le cose più buone, ma anche quelle più turpi e devastanti, vittima un po’ di sé stesso, della propria incresciosa fragilità. Siamo noi, spesso, dopo esserci scandalizzati, a proporre, a esigere una giustizia rapida. Tu, al contrario, non hai alcuna fretta perché sei preoccupato non di tranciare, ma di rispettare ogni più piccola traccia di bontà e di bellezza. Tu non hai fretta perché sei misericordioso e pertanto sai aspettare, con pazienza, che ognuno dia i suoi frutti.

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Busia, 2023; Aliotta, 2023; Laurita, 2023.