L’Epifania del Signore

I Magi e la stella

“Nato Gesù a Betlemme in Giudea nei giorni del re Erode” (Mt. 2, 1), inizia così il vangelo che sarà proclamato il giorno della Epifania del Signore. Sappiamo che il fatto della nascita a Betlemme è in intima relazione con l’ascendenza davidica di Cristo, che Gesù ha ricevuto da Giuseppe, della stirpe di Davide. L’evangelista Luca ci ha spiegato il viaggio di Giuseppe e di Maria a Betlemme con la necessità di farsi iscrivere nel censimento nella loro città di origine. L’annuncio della nascita comunicato dagli angeli ai pastori sottolinea espressamente che il Salvatore è nato “nella città di David, appunto Betlemme. I grandi sacerdoti e gli scribi del popolo sanno che “Betlemme di Efrata” è stata preannunciata dal profeta Michea (4, 11-13) come la città da cui proverrà il Messia, il Salvatore. Anche nel vangelo di Giovanni (7, 40-42) si fa menzione che il Messia viene da Betlemme. Dunque la credenza della comunità primitiva riguardo al luogo della nascita del Messia non lascia adito ad alcun dubbio.

La data della nascita di Gesù può essere stabilita approssimativamente alla luce delle indicazioni di Matteo a causa delle incertezze relative al censimento di Quirino, secondo il vangelo di Luca. Erode morì intorno alla pasqua del 750 dalla fondazione di Roma, e cioè nell’anno 4 avanti Cristo. La nascita di Gesù ebbe dunque luogo prima di questa data. Ma quanto tempo prima? Ciò dipende dall’intervallo che intercorre tra la nascita di Gesù, l’arrivo dei Magi e la morte di Erode. Il re Erode si ammalò nell’ottobre del 749 (l’anno 5 avanti Cristo), e poiché non era ammalato quando arrivarono i Magi, questi vennero prima dell’ottobre del 749. Inoltre, la nascita di Gesù e la loro venuta non può superare i due anni e né essere inferiore a quaranta giorni (presentazione al Tempio e purificazione della Madre di Gesù). Il Signore è dunque nato al più tardi nell’agosto del 749, forse un po’ prima: nel 6 e 5 avanti Cristo!

“Ecco giunsero Magi dall’Oriente a Gerusalemme” (v. 1). Molto probabilmente essi furono tre, in riferimento ai tre doni offerti: Oro, Incenso e Mirra; oppure in riferimento alle tre razze di Sem, Cam e Jafet. I loro nomi, accolti dalla tradizione e attualmente accettati, Melchiorre, Gaspare e Baldassare, appaiono in un manoscritto italiano del secolo IX. Non sembra fossero re, anche se Tertulliano li considera come dei re. Le discordanze aumentano circa il loro luogo di origine: chi li fa venire dalla Persia, chi da Babilonia, dall’Arabia, dall’Egitto e dall’Etiopia. Tuttavia una preziosa indicazione archeologica del tempo di Costantino attesta l’antichità della tradizione che faceva i Magi originari della Persia. Fu per questo che i soldati persiani rispettarono la basilica costantiniana di Betlemme, perché nel mosaico del frontespizio erano raffigurati i Magi che erano vestiti come loro. Poiché è presupposto che i Magi siano a conoscenza della speranza messianica di Israele, è assai probabile anche che Matteo abbia pensato a Babilonia, avendo Israele dimorato colà durante l’esilio.
Se si ammette, invece, che erano persiani, allora possiamo dire qualcosa della loro condizione. I magi di Persia non avevano nulla a che vedere con coloro che si dedicavano alla magia. Erano seguaci della dottrina di Zarathustra e appartenenti alla casta sacerdotale. Essi possiedono un riconosciuto sapere recondito che traggono dall’osservazione delle stelle, e sono pagani. I magi, dunque, erano una casta di saggi che esercitava una grande influenza sugli imperatori assiri, caldei e medi. Questa dottrina credeva fortemente sulla speranza messianica, proprio come la religione mosaica; come pure sulla lotta tra il bene e il male e sulla vittoria del bene , grazie al soccorso di un alleato che doveva nascere da una vergine. Da sempre si credette che il “messia alleato” sarebbe stato un re dei giudei.

“Dov’è il re dei giudei che è nato?” (v. 2). Essi si informano del re dei Giudei che è nato. Cercano quindi il re bambino. Il nome “giudeo” per indicare Gesù è usato nel vangelo da non giudei: i Magi parafrasano da pagani l’attesa di Israele, ormai nota anche a loro. Questo interrogativo, che i Magi d’oriente andavano ripetendo per le anguste strade di Gerusalemme, certamente turbò il sospettoso Erode e con lui tutta la città, anche se veniva incontro alla speranza del popolo ebraico. Inoltre, già due secoli prima era stata diffusa in tutto il mondo la speranza di un re che doveva venire dalla Giudea.

“Abbiamo visto sorgere la sua stella” (v. 2). I Magi si sono messi in cammino perché hanno visto sorgere la sua stella. Quali osservatori degli astri i Magi si accorsero del sorgere di una stella nuova, che furono in grado di riferire al Messia: così Gerusalemme diveniva la meta del viaggio. Non siamo d’accordo con coloro che vogliono identificare questa stella con un fenomeno naturale: la congiunzione di Giove e Saturno o l’apparizione di una cometa. E’ naturale, invece, identificare la stella dei Magi con la luce messianica annunciata da Isaia, oppure con la predizione di Balaam, un pagano indotto da Dio a benedire più che maledire Israele. L’oracolo di Balaam (“Una stella sorge in Giacobbe”) fu applicato al Messia dal giudaismo del tempo di Gesù.
La reazione di Erode alla domanda dei Magi sul neonato re è uno spavento che non fa presagire nulla di buono. L’unanime ostilità di tutto il popolo (“e tutta Gerusalemme”) già all’annuncio della nascita del Messia è un’anticipazione del suo definitivo rifiuto. Il racconto è chiaramente mosso da un interesse teologico più che storico.

“Gli offrirono doni, oro, incenso e mirra” (v. 11). L’episodio dei Magi termina con l’omaggio che essi rendono al bambino. Non c’è dubbio che con la sua teologia Matteo veda, nell’offerta dei magi, il compimento delle profezie messianiche. La mirra fa pensare a quella che Nicodemo userà per imbalsamare il corpo di Gesù, l’oro e l’incenso ci fanno pensare alla sua regalità e divinità. Noi, eredi di questi primi gentili (pagani) chiamati ad adorare il messia appena nato, non ci dobbiamo accontentare di riconoscere il suo titolo di messia. La nostra adorazione deve essere accompagnata dall’offerta generosa di tutto il nostro essere.

Bibliografia consultata: Munoz Iglesias, 1969; Gnilka, 1990.

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