Lasciare tutto per seguire Cristo

di Il capocordata

La desolante avventura del ricco proprietario (Mc. 10, 17-30) fa parte di una composizione che include anche un colloquio di Gesù con i suoi discepoli. Marco l’ha voluta coerente e istruttiva. Una serie di affermazioni del Maestro seguono l’esempio e ne chiariscono la portata per la comprensione dei lettori del Vangelo. La prospettiva della “vita eterna” all’inizio e alla fine domina e sigilla l’unità dell’insieme.

Un cattivo esempio (vv. 17-22)

Nell’introduzione dell’episodio, nel modo di avvicinarsi di quest’uomo e nel gesto di gettarsi in ginocchio, si riconosce il gusto di Marco per i racconti ben dettagliati. Mentre Gesù si mette in viaggio, si presenta uno sconosciuto che chiede a Gesù cosa deve fare per avere la vita eterna. “Tu conosci i comandamenti…” gli risponde Gesù: i comandamenti sono il dono gratuito del supremo benefattore e guida del suo popolo e il loro adempimento è in funzione dell’avere la vita eterna; questa vita che inizia negli atti e nelle dichiarazioni di Gesù, si realizzerà in modo pieno e definitivo nel futuro, nel ritorno glorioso del Figlio dell’Uomo.

Tratti dalla seconda tavola del Decalogo, tutti i doveri enumerati riguardano il prossimo. E non ci si sorprenda se lo stesso Vangelo riferisce un’altra risposta di Gesù attestante un punto di vista identico: Gesù mette sul medesimo piano i precetti dell’amore di Dio e del prossimo e garantisce allo scriba consenziente che non è lontano dal regno di Dio. Lo sconosciuto dice a Gesù che ha sempre osservato fin dalla sua giovinezza questi comandamenti.

Un particolare di cui proprio Marco potrebbe essere l’autore sottolinea l’importanza del seguito: “Allora Gesù fissatolo lo amò” v. 21. E’ più che una manifestazione di tenerezza: il gesto di Gesù esprime una chiamata a una funzione particolare. Infatti, Gesù gli dice: “Una cosa sola ti manca: vendi tutto…poi vieni e seguimi” (v. 21). Contro ogni previsione, a questo punto è messo in causa l’uomo. Lo si stimava fedele, irreprensibile ed ecco che una nuova esigenza lo rivela sotto un’altra luce: le parole di Gesù richiamano ormai la vocazione cristiana, i suoi obblighi e i sacrifici che comporta.

Ora, del personaggio che il nostro racconto mette in scena , si apprende alla fine che egli aveva molti beni. Il lettore riceve la chiave del dialogo solo dalle ultime parole. Questo è l’insegnamento: ricchezza e salvezza sono incompatibili, poiché il meglio intenzionato tra i ricchi si stacca dalla salvezza per attaccamento ai suoi beni. In altri termini, bisogna scegliere tra i due tesori, quello della terra e quello del cielo. Questo duro messaggio esiste e si percepisce ancor più prendendo atto dell’iperbole di cui è rivestito: “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio” (v. 25).

Di fronte alla vita eterna, al regno di Dio, la ricchezza costituisce un pericolo temibile e occorre disfarsene ogni volta e in quanto costituisce un ostacolo nel cammino della salvezza, perché essa, entrata nel cuore dell’uomo e divenuta il centro delle sue preoccupazioni, soffoca la Parola e le impedisce di portare frutto (Mc. 4, 19). Tale è il caso del nostro ricco; ed è per questo che, avendo rifiutato la proposta e la scelta conseguente e prendendo congedo da Gesù, è invaso dalla tristezza: non a motivo della sua ricchezza, ma perché a causa di questa perde la vita eterna e il suo attaccamento lo chiude al punto da non potersene separare. Il mordente della catechesi si trova rinforzato: tu che ti attacchi ai tuoi beni, preferirai sopportare la tristezza del rimorso, mentre ti viene offerta la gioiosa prospettiva del tesoro nei cieli, mediante il sacrificio delle realtà effimere? Così l’evangelista ha scosso il torpore della sua comunità, ricordando la gravità della posta in gioco.

Riflessioni sul pericolo delle ricchezze (vv. 23-27)

Alla partenza del ricco segue un colloquio tra Gesù e i suoi discepoli: due sono i temi ben distinti; l’uno riguarda la difficoltà per i ricchi di entrare nel regno di Dio, l’altro si riferisce a questa difficoltà in generale, senza riferimenti alla ricchezza. La sentenza sul cammello e sulla cruna dell’ago rassomiglia agli insegnamenti contro la ricchezza, come appare anche negli altri evangelisti Luca e Matteo.

Quanto all’idea che è difficile entrare nel regno di Dio, essa corrisponde al detto di Gesù sulla porta stretta, indirizzato prima agli ebrei contemporanei di Gesù e in seguito usate nella catechesi cristiana. Qui si colloca lo sbigottimento dei discepoli, con la consolante puntualizzazione che l’accompagna: “Chi può allora essere salvato?…E' impossibile agli uomini ma non a Dio” (vv. 26-27). Sprovvista anch’essa di un punto di connessione con il problema della ricchezza, questa aggiunta appare come il prodotto di un redattore cristiano preoccupato di temperare la severità dell’espressione che evidenziava la difficoltà di entrare nel regno di Dio. Dunque, la ricchezza non  è l’unico ostacolo da superare per entrare nel regno di Dio. Ricordandolo, l’evangelista prepara le considerazioni che seguiranno: la salvezza non è garantita dal fatto che si è rinunciato ai propri beni. In realtà, il turbamento dei discepoli e la parola che lo esprime si comprendono se si collocano nella prospettiva catechetica dell’autore. Egli indica qui tutte le difficoltà per entrare nel regno di Dio: dapprima quella che nasce dalla ricchezza (la principale), ma anche tutti gli impedimenti (preoccupazioni del mondo e le altre bramosie) che sorgono sulla strada del Regno, enumerati nella spiegazione della parabola del seminatore (Mc. 4, 19). La risposta non si fa attendere: “ Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Tutto è possibile presso Dio” (v. 29). Non bisogna disperare: la grazia di Dio può compiere delle meraviglie. In questo modo una nota di conforto, che attenua ciò che questo messaggio potrebbe avere di inumano e di inattuabile.

La ricompensa di coloro che hanno lasciato tutto per il Cristo (vv. 28-30)

Ai cristiani le parole di Gesù ricordano la contingenza e la relatività di tutto ciò che appartiene alla condizione terrestre: sicuri di vivere già adesso nell’era della salvezza, essi non possono dimenticare l’ultimo destino che la grazia di Dio ha fissato loro: seguire Gesù, soffrire per lui, godere già ora lella vita eterna.                                                                                                                                                        

Bibliografia consultata: Legasse, 1976.

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