Nessun profeta è ben accetto nella sua patria

di Il capocordata

Se il buon giorno si vede dal mattino, la scena inaugurale della vita pubblica di Gesù nella sinagoga di Nazareth con la reazione negativa dei suoi compaesani lascia intravedere il tragico epilogo della sua vita con il rifiuto e con la morte del “profeta” e “servo di Dio”. Con questo episodio Luca (4, 21-30) offre ai suoi lettori il suo punto di vista teologico per una piena comprensione del mistero della persona e dell’opera del Salvatore.

Nella prima parte dell’episodio (Lc. 4, 16-21), l’evangelista ci aveva ricordato la venuta di Gesù nella sinagoga di Nazareth e lo aveva presentato come “il profeta messianico” che ha ricevuto da Dio l’incarico di annunciare ai piccoli (poveri) del suo popolo la Buona novella (Vangelo) della loro liberazione e di iniziare con la sua venuta nel tempo umano (l’Incarnazione) “l’oggi” di Dio, cioè il momento eccezionale della sua grazia. Nella seconda parte, il brano che ascolteremo la domenica tre Febbraio, Luca ci riferisce le diverse reazioni degli ascoltatori di Nazareth: da una iniziale ammirazione (“erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca” v. 22), si passa ad un rifiuto e ad una rottura (“lo cacciarono fuori dalla città…per gettarlo giù” nel precipizio, dal ciglio del monte dove era situata la loro città, v. 29).

Di fronte alla pretesa di Gesù sulla sua identità messianica, gli abitanti di Nazareth si fanno condizionare dalla sua appartenenza ad una famiglia umana, per cui si domandavano: “non è costui il figlio di Giuseppe?” (v. 22). Siamo di fronte ad una allusione velata dell’incapacità degli abitanti di Nazareth a cogliere la vera identità di Gesù, dal momento che per l’evangelista Gesù non è, propriamente parlando, “figlio di Giuseppe”, come risulta dalla voce del Padre durante il suo battesimo per mano di Giovanni (“Tu sei il figlio mio, l’amato” 3, 22). Notiamo che questa domanda non nasconde ancora nessuna disposizione cattiva, mentre nel passo parallelo di Marco (6, 2-3) i discorsi tenuti dagli abitanti di Nazareth su Gesù, sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle, fanno pensare che essi lo considerano come un uomo ordinario e si rifiutano di accordargli una sapienza e una potenza taumaturgiche (miracolose).

In Luca è Gesù stesso che, in qualche modo, affronta i suoi compaesani come se, la storica incomprensione degli abitanti di Nazareth durante una sua visita nella città dov’era cresciuto, passi in secondo piano. Infatti, nel vangelo di Luca le prime parole di Gesù agli inizi del suo ministero predicono già l’insuccesso della sua missione presso l’insieme del popolo d’Israele. Solo così possiamo spiegare la severità aggressiva di Gesù che pare supporre le cattive disposizioni degli abitanti di Nazareth nei suoi confronti: “Certamente voi mi citerete questo proverbio: Medico cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!” (v. 23). Come il medico deve anzitutto essere capace di curare se stesso per conquistare la fiducia dei suoi pazienti, così Gesù, se vuole essere riconosciuto dai suoi, dovrebbe dimostrare il suo potere salvifico presso i suoi.

E possiamo, altresì, spiegare, l’allusione a quanto Gesù avrebbe compiuto a Cafarnao, anche se Luca non ha ancora raccontato nulla della sua attività in questa città: dunque, l’episodio di Nazareth si spiega ancora in funzione del carattere programmatico che Luca gli assegna, in quanto esso richiama già simbolicamente l’insieme del ministero di Gesù, il rifiuto di Gesù da parte del popolo d’Israele e l’accoglienza riservatagli dai pagani (v.25.26).

Luca, inoltre, in questo episodio iniziale, tende anche a rendere dura l’opposizione dei suoi interlocutori anticipando l’atteggiamento di rifiuto di tutto il popolo giudeo. Non solo Gesù non operò alcun miracolo a Nazareth a motivo della loro incredulità, come suggerisce Marco (6, 6), ma, secondo Luca, sembra perfino fuori luogo pensare che Gesù faccia anche un solo miracolo a Nazareth. E non lo vuol fare a causa del rifiuto, da parte del popolo giudeo nel suo insieme, di accogliere le “parole di grazia che uscivano dalla sua bocca” (v. 22), di riconoscere in Gesù colui che realizza le promesse dell’Antico Testamento. La caratteristica che, proprio nella sua patria a Nazareth, non abbia fatto deliberatamente nessun miracolo, contrariamente ai miracoli compiuti in altre città, proviene da una interpretazione a posteriori (dopo la morte e la risurrezione di Gesù) di tutta l’opera di Gesù: Israele non beneficerà della salvezza che Gesù è venuto a portare, mentre i pagani sì, come dimostrerà il seguito della narrazione.

“C’erano molte vedove in Israele…ma a nessuna di esse fu mandato Elia…C’erano molti lebbrosi in Israele…ma nessuno di loro fu purificato…” (v. 25.26). Luca qui allude ai miracoli compiuti dai profeti Elia ed Eliseo in favore di non-giudei: la vedova a Sarepta di Sidone (in terra pagana) e Naaman, il Siro, un nemico di Israele, volendo in tal modo preannunciare la salvezza che il profeta Gesù avrebbe apportato ai pagani. Queste parole di Gesù sembrano dunque significare che Elia ed Eliseo hanno fatto miracoli solo in favore di due persone non appartenenti al popolo di Israele e concludono che anche Gesù, profeta non accetto in patria, eserciterà il suo ministero soltanto a beneficio dei pagani.
Questo brano nella sinagoga di Nazareth prefigura già il risultato inatteso della sua missione con la sua fine tragica: “Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte…per gettarlo giù” (v. 29). In questa cacciata violenta di Gesù fuori della città di Nazareth, Luca intende prefigurare la morte infamante di Gesù, crocifisso fuori della città di Gerusalemme.
Nazareth, Gerusalemme non ci sono ancora oggi? Noi cristiani e cattolici non ci consideriamo suoi “familiari” e “concittadini” in senso spirituale? Non ci aspettiamo illusoriamente da lui che ponga la sua potenza al servizio dei nostri interessi e, qualora non ci esaudisse, “non lo accettiamo” come gli abitanti di Nazareth? Capita allora a noi cristiani la stessa disavventura che ebbero i giudei, parenti, concittadini, compatrioti di Gesù: il Vangelo che abbiamo rifiutato è rivolto ad altri che forse noi consideriamo estranei e pagani. L’unica via d’uscita per noi è di abbandonare le nostre false sicurezze, le paure e le pretese che ci tengono prigionieri.

Bibliografia consultata: Samain, 1974.

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