Religione, “Non potete servire Dio e la ricchezza”

di Il capocordata

Da sempre la parabola dell’amministratore disonesto (Lc. 16, 1-13) ha costituito per gli studiosi della Scrittura una vera e propria “croce di interpretazione”: infatti proviamo disagio dinanzi alla condotta deplorevole del protagonista. Che la questione del giusto modo di rapportarsi al denaro e ai beni materiali stia a cuore a Gesù nel Vangelo di Luca è cosa risaputa. E’ molto importante ricordare che per l’evangelista il denaro, la ricchezza e i beni in genere non sono né buoni né cattivi. Luca è ben consapevole che se della ricchezza ci si può servire per vivere e fare del bene, della ricchezza si può anche diventare schiavi, finendo col farsi male e fare del male agli altri.

Il racconto dell’amministratore disonesto

Accusato di aver dilapidato i beni del padrone, l’amministratore viene licenziato in tronco. Senza perdere tempo, seriamente preoccupato per la prospettiva di miseria che gli si parava dinanzi, con grande scaltrezza per un’ultima volta saccheggiò i beni del padrone, volgendo a suo favore quella che sembrava essere una situazione senza via d’uscita, attirandosi la benevolenza dei debitori che così l’avrebbero accolto una volta caduto definitivamente in disgrazia.

La parabola insiste prevalentemente sulla scaltrezza di un’azione che non sembra affatto legale. Il padrone, con una buona dose di ironia, riconosce la furbizia del suo economo, il quale non è lodato per la sua disonestà, ma per la prontezza con la quale ha saputo preservare la propria incolumità: “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza” (v. 8).

“I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce” (v. 8)

Il contrasto tra i “figli di questo mondo” e i “figli della luce” oppone tra loro due diversi modi di rapportarsi a Dio e alle realtà terrene. Risulta abbastanza evidente che i figli della luce sono i discepoli di Gesù i quali, lungi dall’emulare comportamenti disonesti, devono imparare a essere furbi e, soprattutto, a non sprecare il tempo della vita che è loro dato. I figli della luce sono invitati a mettere nelle cose dello Spirito, cioè nel loro rapporto con Dio, l’intelligenza e la tempestività che gli imbroglioni mettono nelle loro imprese truffaldine. Naturalmente non per imbrogliarlo, ma per agire risolutamente e fare le cose più opportune al momento giusto, senza rimandare sempre al domani. Anche in questo risuona la nota dell’urgenza: fate quello che va fatto mentre si è ancora in tempo, prima che sia troppo tardi.

La giustizia misericordiosa di Dio

C’è però un’altra interpretazione della parabola, non in contraddizione con quanto detto finora, che merita attenzione. Gesù parla ancora dell’agire di Dio così come viene rivelato nel suo comportamento. La parabola non proporrebbe un modello da imitare, ma parlerebbe ancora una volta dell’agire di Dio così come è stato rivelato dal comportamento di Gesù. Il messaggio nascosto nella parabola riguarderebbe la giustizia misericordiosa di Dio.

Il padrone della parabola sarebbe perciò Dio e, paradossalmente, l’amministratore furbo sarebbe Cristo, il quale, avendo ormai poco tempo prima di essere espulso da questo mondo, avrebbe per un’ultima volta “dilapidato” la misericordia del Padre a favore di tutti coloro che avevano dei debiti, cioè a favore dei peccatori.

Anche la ricchezza può essere usata a fin di bene

“Ebbene io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne” (v. 9). Con questa affermazione Gesù non intende solo eliminare l’impressione secondo cui l’economo sarebbe stato approvato per la sua disonestà, ma vuole soprattutto ricordare che la ricchezza, spesso causa di cattiverie e di soprusi, può paradossalmente essere utilizzata per uno scopo di bene, addirittura per un fine di salvezza. Con molta probabilità Luca pensa all’elemosina: egli è consapevole che la carità nei confronti dei poveri costituisce il miglior  biglietto da visita quando, al termine della vita terrena, compariremo davanti al tribunale divino. Gesù non prende di mira la ricchezza in se stessa, ma l’uso distorto, se non addirittura idolatrico, che di essa spesso si fa.

L’etimologia del termine “mammona” (ricchezza)

Sembra che il termine rimandi alla radice ebraica sottesa alla parola “amen”, ovvero ciò in cui si ripone la propria fiducia. Spesso gli uomini fanno completo affidamento sul denaro, è chiaro che esso entri presto in competizione con l’unico veramente degno della nostra fiducia, Dio. Gesù perciò mette in guardia da quell’accumulo di denaro che rischia di diventare per l’uomo un’ossessione che impedisce di relazionarsi serenamente e onestamente con Dio e con il prossimo.

“Non potete servire Dio e Mammona”

A coloro che vogliono seguire il suo insegnamento, il Maestro chiede una fedeltà assoluta. Ai discepoli non è chiesto di essere fedeli solo riguardo alla gestione dei beni terreni, ma anche nell’amministrazione dei beni del Regno, primi tra i quali sono proprio i poveri. Tornando sul pericolo costituito dall’idolatria della ricchezza, Gesù insiste col ribadire che non si può servire due padroni, occorre dunque scegliere: o Dio o Mammona, con tutto ciò che ne consegue sul piano della salvezza e della dannazione. Il discepolo sa che esiste soltanto una scelta: amare Dio “con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze e con tutta la mente”.                

Bibliografia consultata: Gennari, 2019.

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