Roma: Ignazio Marino, assoluzione piena tra soddisfazione e rimpianto

Assoluzione piena per l’ex sindaco di Roma; resta il rimpianto per quanto causato da una vicenda giudiziaria basata sul nulla

Ignazio Marino

Esultanza per l'assoluzione definitiva dell'ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, che esce da una  vicenda in cui era rimasto coinvolto nel 2015. Era stato inquisito, infatti, e successivamente processato con l'accusa di peculato e falso per quelle che risultavano essere una cinquantina di cene pagate attraverso l'utilizzo della carta di credito che gli fu rilasciata durante il suo mandato dall'amministrazione capitolina.

Se in primo grado fu assolto, in appello venne condannato a due anni di reclusione mentre oggi interviene la sentenza della Cassazione che annullando senza rinvio la precedente condanna a due anni di reclusione, perché il fatto non sussiste, restituisce a Marino la sua tranquillità e serenità tanto più che lo stesso Procuratore Generale, Mariella De Masellis, in udienza ne aveva richiesto l'assoluzione. Formula di assoluzione piena nei confronti dell'ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, dopo la quale resta il danno, politico e personale, prodotto dalla gogna mediatica cui è stato sottoposto, condannato ancor prima di essere processato.

Inutile dire o riportare delle frasi di esultanza da parte dello stesso o del suo legale, piuttosto rimane il dubbio di come, ancora una volta, si possa andare dalla condanna all'assoluzione piena in un sistema giuridico che, in ogni grado di giudizio, dovrebbe applicare le medesime leggi, l'identica valutazione dei fatti, con gli stessi strumenti che le leggi mettono a disposizione dei giudici; eppure, nonostante tutto, è lapalissiano che tutto ciò non avvenga, portando ad una distorsione del sistema giuridico e dei suoi risultati a tutto svantaggio e danno dell'imputato che resta invischiato, come una mosca nella ragnatela, in un sistema che appare sempre più perverso e nel quale deve sperare soltanto di poterne uscire indenne dopo tre gradi di giudizio.

Ci si chiede, infatti, se quella benda sugli occhi la giustizia la indossi per non provare orrore nel guardare i propri errori. Proudhon, filosofo anarchico della Francia dell'800, diceva che "la giustizia è la stella centrale che governa la società, il polo intorno al quale ruota il mondo politico, il principio e la regola di tutte le transazioni. Nulla avviene fra gli uomini che non sia in nome del diritto, nulla senza invocare la giustizia;" come sosteneva Piero Calamandrei "Per trovar la giustizia bisogna esserle fedeli: essa, come tutte le divinità, si manifesta soltanto a chi ci crede" e Marino ha creduto con fede che l'amministrazione della giustizia avrebbe sortito il risultato sperato. Sul destino politico dell'ex sindaco di Roma ora potrebbero aprirsi nuovi scenari e potrebbe alzarsi il sipario di un palco che, finora, è stato occultato a causa delle sue vicende giudiziarie.

Cosa accadrà nel PD? Ma soprattutto quali saranno i progetti di Marino su Roma? Il suo mandato, al di là delle vicende appena terminate, non sembra essere stato tra i più brillanti e Roma con le sue pecche e i suoi vezzi si è ritrovata ad essere lasciata a sé stessa in uno scenario che si ripeteva da anni. Certamente con la Raggi le cose non vanno meglio ma, almeno, bisogna riconoscerle la buona intenzione di mettere mano ad un sistema di amministrazione della città che è ormai arrivato al capolinea e del quale Marino, assieme a tanti altri che lo hanno preceduto, è stato l'artefice o forse il colpevole; si, perché, per usare ancora le parole di Calamandrei " Non si confonda la giustizia in senso giuridico, che vuol dire conformità delle leggi, con la giustizia in senso morale che dovrebbe essere tesoro comune di tutti gli uomini civili, qualunque sia la professione che essi esercitano nella vita pratica."

Da un lato quindi la soddisfazione di una piena assoluzione e l'amaro in bocca per una vicenda, a quanto pare, fondata sul nulla; il rimpianto di essere stato costretto ad una "fuga" politica e l'orgoglio di aver provato quanto sempre detto sulla propria estraneità ai fatti contestati. E “Se noi conosciamo che errare è dell'uomo non è crudeltà sovrumana la giustizia?”, per usare le parole di Pirandello; forse in questo caso no.

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