La gastronomia a Rieti e in Sabina può salvare l’umanità

Legumi, formaggi patate e l’intramontabile Amatriciana. Tra le specialità gastronomiche della Sabina e del reatino non manca davvero nulla

Pasta amatriciana

Un’alimentazione varia, che preveda pesce e carne, ma anche legumi e cereali integrali contribuisce al corretto fabbisogno di nutrienti dell’organismo. In un’ottica di sempre maggiore sostenibilità ambientale. Un pianeta in salute, non può che agevolare quella dei suoi abitanti.

La gastronomia sabina: i fagioli possono salvare l’umanità

Gli allevamenti animali, specie se intensivi, producono una quantità enorme di CO2 e contribuiscono in maniera notevole all’inquinamento, oltre a consumare molta acqua. Questo tipo di consumo danneggia l’ecosistema. I legumi possono essere un’alternativa adeguata all’eccessivo consumo di carni. Tra questi i fagioli che sono ricchi di ferro. Ma occorre ricordare che si tratta di un ferro meno assimilabile, a causa di sostanze come ossalati e fitati. Per agevolarne l’assunzione e poter quindi contare su questa riserva minerale, indispensabile alla sintesi di emoglobina e mioglobina e al rafforzamento del sistema immunitario, è consigliabile assumere anche la vitamina C. Una bella spremuta di agrumi, ma anche tanta verdura che ne è ricca, come i peperoni e altre, saranno utili allo scopo.

I prodotti organici che fanno bene alla salute: i fagioli del reatino

Tra i legumi i fagioli sono una categoria principe. Sono tre le varietà che si producono nella Sabina.  Ognuna tipica di una zona precisa. Il fagiolo borbontino è originario di Borbona nella Valle del Velino. Quello a pisello nasce a Colle di Tora, sul Lago del Turano. Infine Il fagiolo gentile è originario di Labro, uno dei più bei borghi sabini, sul Lago di Piediluco.

I fagioli sabini sono quasi tutti accomunati da una grande digeribilità, dal sapore delicato, e dalla scarsa resa in termini di quantitativo raccolto. Che deriva non certo da una scarsa predisposizione del terreno, che anzi, in combinazione con il clima, è particolarmente felice per questi prodotti, ma per le tecniche colturali adottate. Non si usano antiparassitari chimici, la concimazione avviene con il naturale letame e la raccolta viene fatta rigorosamente a mano. La follia di cercare volumi grandi per offrire prodotti a una massa sterminata di consumatori ha fatto si che si privilegiassero produzioni di minore qualità e basso prezzo. Ma la logica dovrebbe essere quella di mangiare meno ma meglio e soprattutto i prodotti del luogo, a km 0, perché costeranno meno. vorrei

Il Fagiolo Borbontino

Il primo, il borbontino è un borlotto grande e con una notevole resa, con una buccia quasi inesistente. Pensate che è così tipico di questo territorio che se tentate di produrlo poco oltre nasce con una buccia più consistente e quindi meno digeribile. La semina avviene tradizionalmente a ridosso della ricorrenza di Santa Restituta, quindi a fine maggio, mentre il raccolto agli inizi di ottobre. Un appuntamento da cerchiare sul calendario è alla terza domenica di ottobre, quando Borbona festeggia il suo prodotto più famoso con la Sagra del Fagiolo Borbontino.

Il fagiolo a pisello di Colle di Tora

A Colle di Tora, lungo le rive del Lago del Turano si coltiva il tipico il fagiolo a pisello, così chiamato per la forma tondeggiante, come una perlina o come un pisello. L’estrema aderenza della buccia al seme, e la forma tondeggiante, gli hanno regalato il nomignolo di gnocchetto, in uso soprattutto dagli umbri.

La semina avviene tra maggio e giugno, in appezzamenti di terrenomolto scoscesi, anche di dimensioni piuttosto ridotte, a 900 metri sul livello del mare, dove poi viene raccolto a novembre. Periodo in cui nel borgo, che gode di una vista mozzafiato sul sottostante bacino del Turano, ci si veste a festa e si organizza la Sagra del Fagiolo a Pisello, con mercatini, stand gastronomici e spettacoli musicali. Non si sa l’epoca esatta della sua introduzione ma probabilmente sarà dovuta a qualche emigrante di ritorno dalle Americhe.

È stato creato un Presidio Slow Food, che intende preservare la biodiversità tutelando una coltura che non offre grandissimi quantitativi in termini di resa – si trova quasi esclusivamente nei mercati locali – ma che non deve essere sacrificata, mantenendo intatta la fisionomia del territorio e la sua identità.

Il fagiolo gentile di Labro

Labro, in provincia di Rieti, è un borgo dalla storia affascinante, che appare quasi scavato nella roccia. L’asperità della roccia trova il suo degno contraltare, un opposto che sembra compensarla, nel Fagiolo Gentile. Gentile perché il tegumento è sottile e attaccato al fagiolo, tanto che alla cottura non si sfalda e il palato non lo percepisce per nulla.

E questo legume dalle dimensioni ridotte, di un delicato color avorio che diventa nocciola con il passare del tempo, viene seminato alla fine di aprile o intorno alla metà del mese successivo, e a seconda di questo viene programmata la raccolta, che viene organizzata tra settembre e ottobre.

Anche questo tipico prodotto sabino ha una sua festa, la Sagra del Fagiolo Gentile di Labro che viene organizzata sin dal 1972 in concomitanza con i festeggiamenti della Madonna del Rosario, intorno alla metà di agosto. Particolarmente sentita e partecipata è la competizione culinaria, con piatti, ovviamente, in cui i fagioli fanno la parte del padrone.

Altre eccellenze: la ciliegia Ravenna di Montelibretti

La ciliegia Ravenna, in dialetto cerasa, si coltiva in quella parte di Sabina compresa nel territorio dei comuni di Montelibretti, Montorio Romano, Moricone, Nerola e Palombara Sabina. La leggenda vuole che Papa Onorio IV, a cui fu donato un cesto di ciliegie Ravenna, si innamorò del loro sapore. Per questo da allora sono anche chiamate cerase del Papa.

Altre eccellenze: la Patata di Leonessa

La coltivazione della patata a Leonessa è frutto di una felice combinazione di clima e suolo che la rendono un ingrediente versatile e con molti utilizzi in cucina. Si celebra nella Sagra della Patata Leonessana, la cui prima edizione risale al 1989. Fritta, rescallata o lessa sempre bona la patata di Leonessa!

Non c’è niente da fare: la coltivazione della patata di Leonessa è favorita dallo scarso inquinamento del suolo. Questo è un problema serio per molte aree italiane, Pianura Padana in primis. Sono sempre i territori non inquinati e quelli di montagna ovviamente godono di questo privilegio.  Si aspetta il riconoscimento dell’Indicazione Geografica Tipica al prodotto, che offrirebbe maggiori garanzie al consumatore e ai produttori stessi, che non dovrebbero subire la concorrenza sleale di chi vende patate di altra provenienza, spacciandole per leonessane.

Le patate: utili nell’alimentazione umana ma attenzione!

Le patate sono tuberi commestibili della famiglia delle solanacee, importati dal continente americano nel corso del XVI secolo. Ricche di minerali come potassio, ferro e magnesio, e vitamine, come la B1, la B2, la C e l’acido folico, sono caratterizzate da una grande quantità di amido, che le rende alimenti molto sazianti e propizie al corretto funzionamento dell’intestino. Le patate fanno bene ma attenzione alle calorie! Ne contengono infatti circa il 50% in più rispetto alla media delle altre verdure, a causa degli zuccheri e degli amidi in esse contenuti. Ma la patata in sé non fa ingrassare.  Più che altro bisogna fare attenzione ai condimenti e dalla modalità di cottura, come per la pasta.

La patata di Leonessa è povera di acqua, tiene quindi benissimo la cottura e si rende adatta all’impasto degli gnocchi. Questi ultimi conditi con un semplice sugo di pomodoro fresco, di carne, ma anche di pesce, vista la grande varietà di fauna ittica nei laghi della Sabina, sono la gioia del palato.

Con l’impasto di patate si fanno le prelibate ciambelline dolci di Leonessa. Vanno servite calde dopo essere state fritte in abbondante olio di semi di girasole bollente.

I formaggi della Sabina: pecorini e vaccini

La Sabina, con la sua vocazione naturale all’allevamento, è la patria di ottimi formaggi locali. Primi fra tutti il pecorino di Amatrice, ingrediente essenziale della pasta all’amatriciana, e il Cacio Magno, che deve il suo nome a Carlo Magno,che dicono fosse estimatore di questo formaggio. Il Pecorino di Amatrice si fregia anche del marchio De.Co., emanato dall’omonimo comune del reatino, il quale stabilisce anche dei canoni molto rigidi per l’assegnazione. Il legame con il territorio è profondo e antico, e la tecnica di produzione è sostanzialmente immutata, tanto che possiamo immaginare di mangiare lo stesso pecorino dei nostri nonni, e dei nostri bisnonni, e chissà di quali altri antenati più o meno lontani.

L’area di produzione coincide con il comune di Amatrice. Ma il latte può provenire dalle pecore dei pascoli in Abruzzo. Di pecorino di Amatrice ne esistono due: quello da tavola e quello stagionato. A pasta morbida quello da tavola, a pasta dura quello stagionato. Il secondo ha una stagionatura che va dai 4 ai 12 mesi. Cambia ovviamente il sapore, più intenso e sapido lo stagionato, più dolce il fresco.

Carlo Magno, un grande ammiratore del Cacio Magno

Per ricordarsene dopo tanto tempo deve aver sorpreso molto i produttori dell’epoca.  Nell’anno Ottocento Carlo Magno venne incoronato, con una cerimonia solenne guidata dal Papa Leone III, alla guida del Sacro Romano Impero. Poco prima, nel corso del suo viaggio verso Roma, il futuro Imperatore si trattenne per qualche giorno presso l’Abbazia di Farfa, dove venne, ovviamente, ricevuto con tutti gli onori del caso. Tra gli omaggi e le attenzioni a lui dedicati, i frati ritennero opportuno riservare al loro ospite nutriti assaggi di uno speciale formaggio, uno di quelli che non era tanto comune trovare all’epoca. Pare che Carlo Magno rimase estasiato dal sapore e decise di portarne con sé alcune forme. Non solo. Donò l’appellativo “magno” al cacio gustato a Farfa, che poi gli rimase per il resto del tempo.

La materia prima è latte ovino, filtrato, pastorizzato e cagliato a freddo. Quando la cagliata viene rotta, il latte viene cotto per poi riposare sotto siero per qualche minuto, dopodiché viene inserito nelle forme. Seguono tre stufature, con procedure diverse, in quanto le prime due avvengono a vapore, mentre la terza ad aria calda secca.

A questo punto, le forme vengono salate e preparate per la stagionatura, che si protrae per 25 giorni. Vengono prodotte due versioni di Cacio Magno: quella semplice e quella alle erbe, ottenuta con l’aggiunta di vegetali come radicchio, rucola, peperoncino, non necessariamente insieme.

L’amatriciana si fa con il pecorino di qui!

L’ Amatriciana ha pochi, semplici, ingredienti: salsa di pomodoro, guanciale e pecorino. Quindi, sgombriamo il campo da un primo, possibile equivoco: non va mai usato il parmigiano nell’amatriciana! Anche se non sarebbe previsto io ci metto l’aglio nel soffritto iniziale. Lo so non si dovrebbe ma l’aglio fa troppo bene alla salute e non c’è niente di più mediterraneo. Ma c’è una certa rigidità, tra i puristi, ad accettare anche varietà di pecorino che non siano locali. E quindi, pure quel pecorino romano che, a detta di molti, ben si sposa in questo piatto con gli altri ingredienti, non è quello giusto.

L’unico accettato nel disciplinare relativo alla salsa all’amatriciana, emanato dal comune di Amatrice, è quello proprio di Amatrice stessa, con un sapore più delicato, non salato ma leggermente piccante, che non copre il gusto del piatto ma al contrario lo esalta e lo valorizza. L’ultima raccomandazione indica l’uso del pecorino stagionato.

Tra fine maggio e giugno si svolge un evento dedicato ai formaggi, per tre giorni si assaggiano e si celebrano specialità casearie di tutta Italia a Rieti. Si chiama, manco farlo apposta ForMaggio.

Il 19 agosto di ogni anno si celebra invece la Fiera di San Magno a Cittaducale, durante la quale si svolge anche la Sagra del Pecorino. La rievocazione dedicata al patrono è un appuntamento molto antico, che risale al Cinquecento, e si svolge nel cuore pulsante della cittadina, piazza del Popolo. Infine citiamo la Sagra degli Spaghetti all’Amatriciana, per fine agosto, ovviamente ad Amatrice.